lunedì 17 gennaio 2011

Il test di resistenza alla supinazione

La determinazione dell’asse della sottoastragalica in relazione al piede è un importante esame clinico la cui corretta tecnica permette di apprezzare i momenti di pronazione e supinazione che agiscono attorno all’articolazione. (Kirby, Kevin A.: "Methods for Determination of Positional Variations in the Subtalar Joint Axis", J. American Podiatric Medical Assoc., 77:228-234, May 1987; and, Kirby, Kevin A. Foot and Lower Extremity Biomechanics: A Ten Year Collection of Precision Intricast Newsletters. Precision Intricast, Inc., Payson, Arizona, 1997, pp. 49-52).
Una volta che si raggiunge una certa pratica con questa tecnica, sarà possibile notare che i pazienti con medializzazione dell’asse della sottoastragalica tendono a pronare a fondo corsa questa articolazione quando rimangono in posizione di carico rilassato del calcagno (RCSP – relaxed calcaneal stance position) mentre invece pazienti con deviazione in laterale dell’asse della sottoastragalica tendono a mantenere questa articolazione in leggera supinazione quando si trovano in stato di stance rilassata. Tuttavia una volta che il piede agisce per controllare il carico, è difficile determinare la localizzazione spaziale dell’asse ASA. Dal momento che il metodo per la determinazione del posizionamento dell’asse ASA non in carico è differente da quello utilizzato a catena cinetica chiusa, è necessario sviluppare tecniche basate su un approccio differente.
Uno dei metodi è appunto definibile come Test di resistenza alla supinazione, dalla traduzione dell’anglofono Supination resistance test.
Questo test è apparso in letteratura per la prima volta nel 1992 (Kirby, Kevin A., and Donald R. Green: "Evaluation and Nonoperative Management of Pes Valgus", pp. 295-327, in DeValentine, S.(ed), Foot and Ankle Disorders in Children. Churchill-Livingstone, New York, 1992, p. 314).
Per compiere il test di resistenza alla supinazione, al paziente viene chiesto di posizionarsi comodamente in bipedestazione eretta, con l’angolo dei piedi nella posizione a lui naturale e la base di appoggio spontanea. Al paziente deve essere chiesto anche di rilassare i piedi durante la durata del test, in modo tale che la muscolatura intrinseca non si contragga involontariamente. In altre parole il soggetto non deve tentare di pronare o supinare la sottoastragalica per non minare il risultato del test. Compiuto ciò, l’esaminatore posiziona il polpastrello dell’indice e del dito medio direttamente plantarmente l’aspetto mediale del navicolare e dell’arco plantare del piede. Fatto ciò il podologo deve tirare verso l’alto il navicolare parallelamente all’asse della tibia.
Quando l’esaminatore comincia a tirare superiormente l’arco, dovrebbe notare il grado di resistenza che il piede del paziente oppone a questa forza. In aggiunta, è utile notare la quantità di forza necessaria per supinare la sottoastragalica dalla posizione di riposo iniziale. Ulteriore cura dev'essere spesa per evitare che il paziente venga spinto fouri dal proprio poligono d'appoggio e che cerchi di conseguenza di attivare muscoli alternativi che non utilizza solitamente in bipedestazione rilassata. In generale se il test viene effettuato come spiegato il paziente non si sente spinto oltre la propria zona di equilibrio.
In un piede con un asse ASA in posizione normale (che passa da posteriore attraverso la porzione laterale della tuberosità calcaneare ad anteriore attraverso la prima area intermetatarsale) l'esaminatore deve esercitare solo alcuni chili di forza per causare una supinazione della sottoastragalica. Se l'asse della sottoastragalica è deviato lateralmente, la quantità di forza espressa dalle dita necessaria è inferiore al normale. Se l'asse ASA è medializzato, sarà necessaria una forza maggiore per supinare l'articolazione. In caso di asse ASA severamente medializzato, tale che esso passa direttamente attraverso oltre l'aspetto mediale del navicolare, l'esaminatore non sarà in grado di supinare l'ASA durante il test.
I principi biomeccanici dietro il test di resistenza alla supinazione sono relativamente semplici. Più l'asse ASA è lateralizzato nella bipedestazione, maggiore è la lunghezza del braccio di leva a disposizione dell'esaminatore per produrre una supinazione ASA attorno al suo asse spingendo verso l'alto la porzione mediale dello scafoide. Viceversa quando l'asse ASA è medializzato in catena cinetica chiusa il braccio di leva si fa più corto ed è quindi necessaria una forza maggiore per la supinazione. Nel caso di asse ASA severamente medializzato non esiste alcun braccio di leva per produrre supinazione, pertanto la supinazione nel test è impossibile se non con una grande forza.
Come per la maggior parte dei test, quello di resistenza alla supinazione deve essere svolto svariate volte prima che l'operatore possa sentire propria questa tecnica. Si tratta però di una pratica semplice che diventa elementare dopo una decina di prove e che proprio per la sua facilità diventa un metodo efficente per guadagnare maggior informazioni possibili sullo stato delle forze che agiuscono nello stato di carico. Questo è vero soprattutto quando consideriamo che l'area del piede di interesse per lo svolgimento del test è anche il punto di inserzione del muscolo tibiale posteriore. Di tutti i muscoli della gamba, il tibiale posteriore ha il braccio di leva più lungo per produrre supinazione attorno l'asse ASA durante le attività sotto carico.

Con la pratica sarà anche impressionante notare come il peso corporeo dell’individuo ha meno effetto sulla quantità di forza necessaria per supinare la sottoastragalica rispetto alla posizione del suo asse. Capita spesso di esaminare bambini di peso inferiore ai 25 kg con deformità del piede piatto flessibile che richiedono molta più forza applicata per supinare la sottoastragalica rispetto ad adulti di 90 kg con piedi cavi. Il test di resistenza alla supinazione permette all’esaminatore di fare esperienza diretta delle forze che agiscono sull’articolazione sottoastragalica, forze atrimenti difficili da misurare attraverso ogni altro sistema valutativo.
La facoltà podiatrica presso l’università di La Trobe (Melbourne, Australia) sta compiendo una ricerca per scoprire la possibile correlazione fra il test di resistenza alla supinazione e il rischio di lesioni . Sono stati presi in esame 28 individui che avevano problemi con un solo arto, tutti precedentemente descritti o diagnosticati come “eccessiva pronazione monolaterale”. Di questi soggetti è stato registrato un protocollo che classifica i piedi in categorie in base alle osservazioni visive (indice posturale) sia della parte lesa sia del lato illeso; quindi è stata misurata la resistenza alla supinazione sul lato infortunato e su quello illeso. È stato scoperto che prendendo in considerazione solo l’indice posturale, il piede dal lato ferito è stato valutato come pronato in 15 dei 28 soggetti. Tuttavia la resistenza alla supinazione era maggiore sul lato ferito in 25 dei 28 soggetti. Se una tale riscontro si verificasse su scala più ampia, ne risulterebbe che il test di resistenza alla supinazione è più predittivo della valutazione in base all’osservazione visiva (un esempio su tutti la ricerca sull’uniformità di curve fra i profili tibiale e calcaneare). Per poter dare una risposta sono necessari altri studi prospettici e per questo l’invito a tutti gli operatori è di fare il più ampio uso di questo veloce test.

La prova di resistenza supinazione è oggi probabilmente una delle valutazioni più importanti sul paziente per dettare la scelta dell’ortesi più corretta. E’ più oggettiva da valutare dell’indice posturale, tuttavia è necessario ulteriore lavoro per comprendere appieno se la resistenza alla supinazione può essere utilizzato come gold standard nella predizione del rischio di lesione o possa essere validamente utilizzato per determinare le risposte cinematica e dinamica ai diversi livelli di forza fornita dalle ortesi del piede.

Nessun commento:

Posta un commento