lunedì 14 maggio 2012

La ricerca di un approccio unificato alla biomeccanica podiatrica: revisione delle teorie sul funzionamento e sulla terapia ortesica del piede. Parte 3




Meccanismo teoretico di funzionamento in caso di anormalità podaliche

a) Fallimento di stabilità e di mantenimento di una struttura congruente durante la fase di stance
se i momenti angolari che resistono alla pronazione dell’articolazione sottoastragalica e all’abbassamento dell’arco plantare mediale non sono di sufficiente grandezza, avviene una pronazione anormale e il metatarso si muove in una posizione di scarsa congruenza a causa del mal allineamento fra le facce articolare delle ossa che lo compongono. I fattori che possono aumentare o diminuire l’abilità del piede nel resistere ai momenti pronatori sono sia intrinseci (es. un asse della sottoastragalica deviato medialmente) sia estrinseci (es. debolezza del gruppo dei muscoli rotatori laterali dell’anca) o ancora transitori sul piede (ad esempio lassità legamentosa in gravidanza). In aggiunta, per mantenere stabilità a seguito del sollevamento del tallone, il meccanismo a verricello necessita di applicare una certa tensione sulla fascia plantare. Se questo non è reso possibile, il metatarso si destabilizza allo stacco del tallone e non è in grado di resistere alle forze che lo piegano. L’abbassamento dell’arco allo stacco del tallone avviene analogamente alla pronazione della sottoastragalica. Perché il meccanismo a verricello funzioni, la dorsiflessione dell’alluce deve avvenire attraverso la propulsione della colonna mediale. Se è presente una limitazione della prima articolazione metatarso-falangea, strutturale o funzionale, il meccanismo a verricello può non funzionare con una sequela di complicanze. Un comune meccanismo di compensazione è la prolusione laterale anziché mediale, un metodo meno efficiente rispetto alla spinta sull’alluce. Nonostante le cause dell’hallux limitus funzionale siano molto discusse in letteratura, è sovente tralasciata l’eziologia della patologia. Due possibili eziologie sono un effetto a verricello inverso troppo prolungato e una restrizione ossea della prima articolazione metatarso-falangea. Il primo caso si presenta quando, come risultato di una pronazione eccessiva della sottoastragalica (causata da avampiede varo, varismo tibiale o debolezza dei rotatori d’anca), è prolungato il meccanismo a verricello inverso e con questo la plantarflessione dell’alluce, sostituendo la sua fisiologica dorsiflessione. Questo impedisce un’efficiente propulsione e di conseguenza inabilita l’innalzamento dell’arco mediale.
b) Fallimento nel permettere il rotolamento del piede
I tre rotolamenti del passo, attorno al tallone, attorno la caviglia e attorno l’alluce, devono avvenire in tempistiche esatte e coincidere con il movimento che si deve verificare in concomitanza di queste fasi. Ad esempio, quando il centro di massa avanza e l’anca si estende il tallone deve risalire in maniera appropriata. Il fallimento dell’articolazione dell’alluce nel compiere tale lavoro impedisce il distacco del tallone e limita l’estensione d’anca, che come accennato nello scorso numero è una finalità principale di tutto il passo e che ha rilevanti ripercussioni su tutta la catena cinetica. Il tempismo di questi movimenti è essenziale perché il piede sia stabile sotto carico. In questi casi i meccanismi compensativi possono includere assenza di curva fisiologica a livello di lordosi, insufficienza nell’estensione dell’anca o del ginocchio.
c) fallimento nel permettere la rotazione interna della gamba sul suolo attraverso la pronazione della sottoastragalica
Quando la sottoastragalica soffre di un inadeguato range di pronazione tale da non permettere la normale intrarotazione della gamba (esempio tripla artrodesi) i normali macchinismi lombari e pelivici non agiscono. È vero anche il contrario: se c’è una diminuzione della rotazione interna dell’anca, la normale pronazione non avviene e ciò inficia sul meccanismo a verricello invertito (es. osteoartrosi d’anca). Al momento della midstance, la gamba extroruota apllicando alla sottoastragalica un momento supinatorio. Perché la gamba ruoti, il piede deve supinare, cioè il momento supinatorio sull’ASA deve essere maggiore di quello pronatorio. In situazioni anormali questo può non accadere e in tal caso accorrono diversi meccanismi compensativi: la gamba potrebbe rimanere semplicemente intrarotata, oppure se il coefficiente di frizione tra il suolo e il piede è superato, il piede può essere visto rapidamente abdurre e permettere all’anca di rotare esternamente senza risupinazione della sottoastragalica (torsione abduttoria, si veda a piede libero n. 4 dicembre 2010 pag. 28).
Prescrizione ortesica basata sulla Teoria Unificata.
La ragione fondamentale per prescrivere un’ortesi funzionale è migliorare la sintomatologia causata da una disfunzione del cammino. Ciò potrebbe essere causato da uno o più combinazioni di fattori, risultando in un fallimento del piede nel fungere da perno stabile, con conseguente movimento anormale dell’anca sul piano trasverso.
È asserito che le disfunzioni sintomatiche del cammino possano essere curate mediante le precedenti teorie podiatriche, con combinazioni di negativi di calchi del piede, posting in varo o in valgo, modifiche nell’estensione o nella larghezza delle ortesi. Ad esempio, secondo la teoria dello stress tissutale, un verricello troppo disteso può essere ridotto utilizzando un cuneo varizzante. La teoria della facilitazione del piano sagittale ridurrebbe la restrizione fornita alle ossa della prima metatarso-falangea eseguendo accorciamenti del sotto il primo raggio e utilizzando cunei cinetici per facilitare la corretta la biomeccanica dell’alluce. La teoria della morfologia del piede tenterebbe di migliorare entrambe le anormalità con un cuneo varizzante e un taglio al 25% nella larghezza del primo raggio. Le tre teorie aiuterebbero il meccanismo a verricello e agevolerebbero l’abilità del piede di funzionare come perno per la rotazione dell’anca. Tuttavia può essere dimostrato con alcuni esempi che le tre teorie, sebbene conflittuali in natura, possano essere coadiuvanti utilizzando una teoria unificata. Ciò può essere collegato al sollievo di specifici sintomi.
La fascite plantare è uno dei più comuni traumi muscolo-scheletrici che vengono presentati al clinico e sicuramente uno dei più trattati mediante plantari su misura. Assumendo che il plantare funziona riducendo la tensione della fascia plantare, correggendo le tempistiche del meccanismo ad argano sia normale sia invertito, e consentendo perciò un passo normale. La prescrizione ortesica basata sulla teoria morfologica applica stabilizzazioni ai piedi che mostrano una compensazione anormale. Gli effetti benefici possono essere la riduzione della compensazione anormale e la conseguente corretta funzionalità della sottoastragalica. In alternativa, il dispositivo può ridurre lo stress sulla fascia plantare tramite la riduzione dei momenti eccessivamente pronatori sulla sottoastragalica durante la fase di verricello invertito. O ancora, un’ortesi potrebbe facilitare la dorsiflessione dell’alluce e il normale funzionamento del meccanismo a verricello in modo tale da diminuire lo stress sulla fascia plantare. In aggiunta, la classica teoria della morfologia del piede applica spesso accorciamenti al primo raggio tali che ne rimanga solo il 25% della lunghezza. Questo riduce il momento dorsiflessorio al primo raggio permettendo all’alluce di estendersi più facilmente durante la propulsione. La teoria della facilitazione del piano sagittale impiegherebbe inoltre un cuneo cinetico per l’articolazione dell’alluce e cunei minori per il retropiede. Infine la teorie dello stress tissutale applicherebbe un posting e un heel skive mediale per diminuire le forze pronanti sulla sottoastragalica. Questo scaricherebbe la fascia ulteriormente.
Ad oggi nessuno studio indica la supremazia di una teoria sulle altre. Alcune ortesi potrebbero funzionare meglio per talune patologie o sintomi derivanti. Se ne conclude che l’utilizzo di talune tecniche per curare determinate patologie podaliche riguarda il miglioramento della funzionalità del piede; tuttavia il legame fra malattia e trattamento ortesiologico adatto è tutt’ora incongruente, venendo a mancare risultati di ricerche ancora non disponibili.

Conclusioni
Si è tentato di riassumere le tre principali linee di pensiero presenti in letteratura e proporre una teoria che le racchiudesse tutte. Questa teoria potrebbe essere pensata come una semplificazione, ma spiega i principi fondamentali dietro il successo apparentemente universale di questi tre differenti approcci terapeutici. Non si intende dismettere o dare priorità ad una teoria piuttosto che ad un'altra. Problematiche legate a diverse e conflittuali teorie esistono anche in altre specialità sanitarie, che faticano a spiegare per esempio il trattamento di molte patologie muscolo-scheletriche. Finché non saranno disponibili ulteriori studi, ciascun praticante sarà libero di utilizzare l’approccio migliore. Il podologo che sa adottare tutti gli approcci potrebbe tuttavia possedere una marcia in più rispetto ai clinici più dogmatici.

giovedì 19 gennaio 2012

La ricerca di un approccio unificato alla biomeccanica podiatrica: revisione delle teorie sul funzionamento e sulla terapia ortesica del piede. PARTE 2




Teoria Dello stress tissutale
Kevin Kirby pubblicò il primo lavoro riguardante la variazione dell'asse della sottoastragalica nel 1987. Questo modello è basato sulla posizione e sul movimento attorno all'articolazione sottoastragalica e le maniere con cui modificare questi movimenti per diminuire lo stress di strutture anatomiche. Vengono quindi identificate le strutture lesionate e la relativa patologia secondo uno schema meccanico del piede. Fuller ha recentemente applicato i concetti del meccanismo a verricello del piede e del centro di pressione ai lavori più recenti di Kirby. Questo approccio impiega l'applicazione di leggi fisiche come il momento, le leve, lo stress e le curve di deformazione. La teoria dello stress tissutale  è basata su un concetto di cinetica opposto alla cinematica del piede. Il concetto centrale è che la pronazione o la supinazione non causano danno, ma fermare questi movimenti invece sì. Se il centro di pressione è mediale all'asse della sottoastragalica durante il cammino, un movimento supinatorio verrà applicato a questa articolazione, e viceversa. Per l'equilibrio rotazionale è necessario che strutture che si oppongano a questi movimenti applichino forze della stessa grandezza. Per esempio, la fascia plantare e il tibiale posteriore si oppongono al movimento pronatorio attorno la sottoastragalica. Uno slittamento mediale o laterale del suo asse risulta in un disturbo di tale equilibrio, un movimento indesiderato interviene fintanto che nessuna struttura intervenga per  aumentare il momento angolare opposto. La deformazione che ciò impone sulle suddette strutture come il tibiale posteriore potrebbe eccedere le capacità di carico, pertanto risultare in una lesione. La diminuzione dei sintomi sembra dettare l'esito del trattamento, piuttosto che indicare il successo o meno di un posizionamento del piede nella posizione ideale. Danni al sistema muscolo-scheletrico del piede vengono trattati mediante ortesi plantari che riducano le forze anormali sui tessuti lesionati applicando il momento appropriato all'articolazione sottoastragalica. Kirby ha contestato i criteri di normalità di Root et al, dichiarando che fossero irrilevanti al conseguimento nel normale funzionamento del piede con un'ortesi: un piede che rimane molto vicino allo stato neutrale della sottoastragralica quando a riposo in bipedestazione statica, in realtà mostra una eccessiva forza supinatoria in dinamica. Un piede moderatamente pronato in stance è considerato normale. La prescrizione ortottica scelta include stabilizzazioni per l'avampiede e il retropiede, estensioni avampodaliche nel caso di avampiede varo o valgo. Calchi negativi sono spesso modificati al momento della presa, a seconda della forma del guscio, per applicare le corrette forze al piede: ad esempio il primo raggio viene dorsiflesso o plantarflesso per riallineare avampiede o retropiede, fino a 10 gradi di correzione. La quantità di momento patologico decreta quella di correzione necessaria piuttosto che una lavorazione del calco basato sulla posizione neutra della sottoastragalica. La larghezza generale del plantare non è specificato, nonostante sia comunemente più largo di quanto prescriva la teoria della morfologia del piede. In contrasto con quest'ultima, sono richieste modificazioni delle forze che agiscono sulle articolazioni, e non nelle posizioni proprie di esse. Se la forza di reazione del suolo produce momenti esagerati, esse vanno sopperite mediante l'heel skive, un controllo a cuneo posto sotto l'alloggiamento mediale o laterale del tallone. Non esiste un protocollo per la produzione delle ortesi nemmeno nel caso di questa teoria, anche se abbiamo molta più letteratura in merito.
Una teoria unificata
E' ragionevole assumere che nessun clinico continuerebbe ad utilizzare una teoria che non funziona per guarire i propri pazienti. Razionalmente quindi devono esserci aspetti benefici in tutte e tre le teorie esposte in questo e nello scorso numero della rivista. Nonostante i tre principali paradigmi biomeccanici siano in conflitto fra loro (si veda la tabella), tutti dimostrano però dei punti in comune, ovvero che il piede funziona attraverso tre principali aree di interesse:

1La capacità di essere stabile e mantenere una struttura congruente durante la fase di stance
2Permettere alla gamba di ruotare attorno al punto di contatto al suolo e di esercitare la falcata
3Permettere la rotazione prima interna e poi esterna della gamba rispetto al suolo attraverso la pronazione e la supinazione dell'articolazione sottoastragalica

Potrebbe quindi esistere un meccanismo correttivo che sottende tutte queste teorie? Viene esposta di seguito una teoria che spiega il normale e l'anormale funzionamento del piede, che potrebbe essere usato per unificare e spiegare i benefici riportati e dimostrati dalle tre differenti teorie.
Meccanismo teoretico per un piede di funzionalità normale
Al momento del primo contatto del piede con il terreno,  avviene la fase di doppio appoggio degli arti inferiori. In questo momento l'arto che ha compiuto il contatto iniziale si trova internamente rotato a terra. A permettere questa rotazione interna è la sottoastragalica, che pronando abbassa anche l'arco mediale. Mano a mano che l'arco si abbassa, esso si allunga e le strutture che si originano prossimamente e si inseriscono distalmente l'articolazione mediotarsica aumentano la loro tensione. E' rilevante l'esempio fornito dalla tabella 3. Questo aumento di tensione applica una forza compressiva longitudinale attraverso convessità e concavità delle articolazioni mediotarsiche, le quali si “impacchettano” e aumentano congruentemente la stabilità del piede. Specificatamente alla fascia plantare, viene proposto un meccanismo ad argano invertito. Non solo la tensione dell'aponeurosi plantare aumenta la stabilità delle articolazioni mediotarsiche, ma spinge le dita al suolo a causa delle inserzioni dei tendini plantari sulle falangi prossimali. La normale quota di pronazione che avviene assieme con l'intrarotazione della gamba al contatto col suolo fornisce stabilità al piede ed è quindi essenziale per una normale camminata. Attraverso la midstance la gamba comincia a ruotare esternamente rispetto al suolo. Questa rotazione necessita della supinazione della sottoastragalica, attraverso la quale l'arco comincia a risalire, pertanto l'origine e l'inserzione delle strutture responsabili del congruente supporto del piede vengono ravvicinate, per cui la stabilità può venire persa. Ciò avviene quando il tallone si alza dal suolo, un momento del passo in cui il centro di presione corporeo progredisce anteriormente alla caviglia e alle articolazioni mediotarsiche. Questa progressione crea un momento massimo che tende ad abbassare l'arco. La capacità del piede è quella di resistere a questa forza e inoltre di mantenere l'arco in costante elevazione. Il meccanismo ad argano ha effetto come descritto da Hicks nel 1954 e recentamente da Fuller e Danamberg. Dal punto di vista anatomo-funzionale si prendono in considerazione l'arco mediale e la banda mediale della fascia plantare. Quest'ultima origina dal tubercolo mediale del calcagno e si inserisce distalmente nella base della falange prossimale de nelle ossa sesamoidi. In catena cinetica chiusa, in un piede con una struttura normale, dorsiflettendo l'alluce si tende la fascia plantare che avvolge la prima testa metatarsale, analogamente ad un cavo attorno ad una puleggia. Questa efficiente meccanismo avvicina il calcagno e la prima testa metatarsale, causando l'accorciamento del piede e il conseguente innalzamento dell'arco mediale. Durante la propulsione la maggior parte del peso è sostenuto dalla colonna mediale del piede, mentre la gamba ruota esternamente e l'arco si alza e si abbassa. Per alzare il tallone è necessario che l'alluce dorsifletta. Questo annoda l'argano del meccanismo a verricello del piede mediante la tensione della fascia plantare, creando una forza compressiva attraverso tutto il piede. Viene ora utilizzata la pronazione indotta dall'intrarotazione tibiale per raggiungere una propria stabilità podalica, perché grazie ad essa aumenta la lontananza e quindi la tensione delle strutture durante la fase di conttatto e l'inizio della midstance. Come il piede fa perno sull'alluce, la gamba extraruota e la stabilità del mesopiede si mantiene attraverso il meccanismo ad argano. La fascia plantare, nonostante sia solo una dei molti componenti coinvolti nel mantenimento strutturale del piede, è teoricamente essenziale anche al mantenimento della stabilità articolare nella risupinazione durante lo stacco del tallone.

giovedì 3 novembre 2011

La ricerca di un approccio unificato alla biomeccanica podiatrica: revisione delle teorie sul funzionamento e sulla terapia ortesica del piede. PARTE 1




I podologi applicano terapie e teorie per trattare i difetti del cammino e i loro sintomi da quando la nostra professione ha cominciato a svilupparsi nel18esimo secolo. Più recentemente si sono affermate tre macroteorie nella letteratura, in relazione al trattamento delle patologie podaliche. La teoria della neutralità della sottoastragalica (STJN), quella dello stress tissulare (TS) e quella della facilitazione del piano sagittale (SPF). Questi sono gli approcci più accettati in relazione alle disfunzioni del passo. Nonostante queste teorie appaiano diverse nelle loro applicazioni, il consenso comune attorno al successo del loro utilizzo mantiene viva la difesa di ciascuna metodologia da parte di ogni suo sostenitore.
In questo articolo verranno esposti i capisaldi teoretici e i metodi di prescrizione ortesica in base a queste linee di pensiero, in quanto l'analisi critica di ciascuna teoria è già ampiamente dibattuta in altre e in questa stessa sede. Al termine delle analisi si cercherà di riassumere una teoria “unificata” che faciliti il compito clinico, diagnostico e di trattamento per lo specialista.

La teoria della morfologia del piede
Fra il 1958 e il 1959, Merton L. Root, pioniere dell'ortesi funzionale podalica, condusse centinaia di studi biomeccanici e cominciò a definire la posizione di neutralità della sottoastragalica. La teoria che lui e i suoi colleghi crearono si bassa sulla premessa che che un piede funziona normalmente quando questa articolazione incontra la posizione di neutralità subito dopo il contatto del tallone a terra e alla fine della midstance. la morfologia del piede (MdP) era caratterizzata e riferita a questa posizione detta STJN, e la relazione tra normalità e anormalità veniva stabilita secondo tale parametro. Sebbene il Dr. Root possa aver prodotto l'ortesi basandosi sulla propria pratica clinica, non ci sono testi descrittivi della prescrivibilità o del metodo di manifattura di questi dispositivi. Ciononostante, molti autori citano il Dr. Root nelle loro interpretazioni dei propri testi e letterature sulle ortesi podaliche, spesso utilizzando terminologie come Rootiano o Ortesi di Root modificata. Sarebbe erroneo assumere che Root avrebbe condiviso tale interpretazione del suo lavoro, nonostante tutti questi autori basino la loro descrizione terapeutica plantare sulle MdP e STJN. La premessa di questo modello di gestione prevede di identificare la MdP che è anormale, per esempio avampiede varo, e prescrivere un dispositivo ortesico atto a prevenire le conseguenze anormali di un moto compensatorio, es. eccessiva pronazione sottoastragalica. E' facile concludere quanto questo tipo di approccio terapeutico sia in voga fra i professionisti odierni.
La maggioranza dei testi che descrivono le ortesi in relazione al lavoro di Root sono concordi sul seguente tipo di approccio: la teoria della morfologia del piede è designata per bilanciare una deformità mediante cunei e fissaggi stabilizzati sotto il plantare su misura (posting). Il protocollo di prescrizione comincia con un presa forma del piede (cast) in posizione di scarico neutrale. La forma del cast neutrale è di primaria importanza, poiché è essenziale per catturare il corretto allineamento avampiede-retropiede e l'angolo di inclinazione calcaneare. Il modello viene poi angolato con un posting intrinseco di avampiede per posizionare la bisezione del tallone all'inclinazione desiderata. Il grado di posting necessario a raggiungerla è calcolato prendendo come riferimento il valore di posizione neutrale del calcagno del paziente (NCSP - neutral calcaneal stance position) e sottraendo il numero di gradi necessari a raggiungere la normale pronazione. L'altezza dell'asse della sottoastragalica è usata per determinare la quantità di pronazione consentita. Il post di retropiede è molato in modo tale da aggiungere ulteriori 4 gradi di varismo per un asse medio di sottoastragalica. Un post di retropiede per asse ASA alto permette 2° di movimento, uno per asse basso ne permette 6; ciò controllerà il movimento del piede da una NCSP fino alla posizione di pronazione prescritta. Per mantenere il posting e la forma dell'ortesi, si raccomandano solo materiali rigidi (acrilici o fibra in carbonio) più un posting in acrilico per il retropiede. Classicamente il guscio termina al 25% della lunghezza del primo raggio.

Teoria della facilitazione del piano sagittale
Howard Dananberg pubblicò per la prima volta le sue teorie nel 1986. Con i suoi colleghi elaborò una teoria che evidenzia l'importanza del piede come pivot che rotola in avanti dal tacco alla punta, così da consentire un'estensione adeguata dell'anca terminando con la fase propulsiva del passo. Un alluce limitato funzionale e un equinismo di caviglia sono due esempi patologici che possono causare una restrizione dei movimenti del piede, risultando in ciò che Dananberg definisce un bloccaggio sul piano sagittale. L'equinismo di caviglia è definito come essere l'impossibilità di dorsiflessione fino a 100°, l'alluce limitato funzionale invece è una prima articolazione metatarso-falangea strutturalmente in grado di permettere un movimento fisiologico ma incapace di dorsiflettere adeguatamente durante il cammino. Dananberg correlò da subito disordini come quelli descritti a problemi legati alla postura, uno su titti la lombalgia.
E' possibile usare questa teoria per spiegare le anormalità e le algie dei piedi, tanto che oggi si tratta di un pensiero accettato da molti professionisti.
La prescrizione ortesica si basa sulla prova per tentativi, basandosi sugli errori commessi dal paziente durante la deambulazione, quest’ultima ripresa con sistemi video e di gait analisis, senza e durante l'uso delle ortesi e successive modifiche di esse. A differenza della teoria della MdP, i metodi per determinare quale posting, quale durezza del guscio, rialzo del targone e altro, sono determinati senza badare alla relazione avampiede-retropiede o all'asse ASA. Dananberg cita anche l'uso di modifiche del plantare, ritagli a livello del primo raggio e specifiche estensioni all'avampiede per incoraggiare la propulsione mediale. Infatti, la quantità di posting è, se confrontata alla teoria precedente, molto inferiore: anche 1° e potenzialmente totalmente differente dal ciò che sembra necessario da un'esame statico. Il metodo di prescrizione rimane documentato separatamente, in quanto Dananberg non ha prodotto alcuna guida passo passo per la propria metodologia, rendendo difficile per i praticanti replicare il suo approccio tecnologio intricato. L'esperienza, ancora una volta, guida nella scelta delle modifiche alle ortesi. Dananberg ha sempre unicamente affermato che l'ortesi dovrebbe essere fabbricata in base all'esame funzionale invece che sull'esame statico. C’è uno spiraglio però: nello scritto “Sagittal Plane Biomechanics,” in Sports Medicine of the Lower Extremity, 1999. Danamberg ricollega la propria teoria al trattamento delle patologie identificate da Root, designando alcune prescrizioni basandosi su tre tipologie di piedi definiti in maniera sommaria. Ciò appare essere quanto di più simile fornito dall'autore in merito alle linee guida. La tabella 1 mostra un riassunto delle opzioni di trattamento che si evincono dalla teoria del piano sagittale, così come redatto dal suo autore secondo le pubblicazioni.

Tabella 1. Riassunto delle opzioni di trattamento dalla prospettiva della teoria della facilitazione del piano sagittale
Le ortesi sono fatte su misura in base alle impressioni sui piedi, ma il metodo di produzione non è noto. Dananberg è stato recentemente coinvolto nella produzione di un plantare prefabbricato non su misura, l'ortesi di Vasyli Howard Dananberg (VHD - foto 1e 2), che potrebbe eliminare la necessità del casting

Usare l'assetto dinamico e statico per stabilire ogni necessità per la correzione di differenza di lunghezza degli arti mediante rialzi sul tallone

Manipolare le aree di ridotta motilità così come la prima metatarsofalangea e l'articolazione talocrurale, se necessario

Fornire un rialzo stabile per il tallone onde ridurre gli effette di un equino di caviglia

Usare sottrazioni sopra o sotto il plantare a livello del primo raggio se è presente un alluce limitato funzionale. La grandezza del ritaglio dipende dal reperto dinamico. Un cuneo dinamico e una piattaforma digitale possono essere utili.

un post per retropiede può potenzialmente essere pericoloso in quanto ostacola la lateralizzazione del calcagno, pertanto è meglio utilizzare post piatti, a meno che non sia presente un contatto iniziale con appoggio medializzato del retropiede: in tal caso il massimo richiesto è considerato di 3°.

Identificare e irrobustire le debolezze dei muscoli periastragalici come il peroniero lungo e il tibiale posteriore. I loro tendini sono indispensabili per il corretto lavoro dell'ASA
A seconda di ciò che risulta dall'analisi dinamica, non impiantare cunei avampodalici superiore ai 3°, siano essi in supinazione o pronazione

Usare materiali dal semirigido al flessibile: sia permettere che controllare il movimento articolare sono concetti cardine

Se lo stacco anticipato del tallone è un problema, usare una gomma morbida come ammortizzatore sotto il retropiede











martedì 8 marzo 2011

La Triade laterale nelle lesioni distorsive di caviglia

Il ventuno percento delle lesioni atletiche è causato da inversione traumatica di caviglia.
Le lesioni alla caviglia sono molto frequenti: solo negli Stati Uniti ogni anno avvengono 27.000 distorsioni. Tipica di questo meccanismo traumatico è la lesione della fascia del legamento talofibulare anteriore. La maggioranza delle distorsioni di caviglia guarisce senza lasciare sequele,  nonostante il trattamento insufficiente eseguito dalla maggior parte della popolazione così come dagli operatori sanitari responsabili del prime visite. La distorsione di caviglia, come la frattura delle dita, viene sottovalutata dal pubblico generale poiché sussiste l'errata credenza che niente possa essere fatto per rimediare al trauma.
Per questo motivo vengono evitate visite mediche e valutazioni terapeutiche. Potrebbe essere questa la causa delle frequenti "storte" recidive, instabilità di caviglia e disabilità che conseguono una distorsione considerata "di routine". Subito dopo il trauma il rimedio casalingo si esplica con una minima immobilizzazione iniziale, cui troppo spesso segue un rapido ritorno al carico; infine la riabilitazione è spesso ignorata, con il risultato di una perdita di propriocezione.
Nonostante la buona guarigione da alcuni traumi distorsivi, approssimativamente fra il 15% e il 20% dei pazienti continua ad accusare dolore e instabilità. Altre fonti rilevano che la percentuale aumenta fino al 40% o addirittura il 73%. Verificate voi stessi durante la pratica clinica: noterete come non si tratta di un risultato statistico esagerato.Lo strappo dei tendini peroneali non è facile da diagnosticare al primo tentativo in quanto è presente in presenza di un danno da inversione di caviglia. Solo il 60% dei disordini ai tendini peroneali viene diagnosticato accuratamente alla prima valutazione clinica. Questo tipo lesioni spesso viene generalizzata e diagnosticata come "altra distorsione di caviglia", e viene spesso non trattata con il principio PRICE (protezione, riposo, ghiaccio, compressione, elevazione) consigliato solo casualmente in pronto soccorso piuttosto che dal medico d'urgenza o dall'infermiere. Cionondimeno c'è ampia evidenza in letteratura che dimostra la riduzione di tempi di ricovero garantita dall'uso di ghiaccio e compressione. Grazie alla crioterapia applicata nelle prime 36 ore, in media l'articolazione distorta raggiunge la propria funzionalità nel giro di 2 settimane, che è la metà del tempo necessario se il ghiaccio viene applicato dopo le 36 ore. 33 giorni è invece il tempo calcolato se il trauma viene trattato con il calore.
Quali sono i punti in comune fra i pazienti che hanno  che fare con dolore prolungato, gonfiore, instabilità e disfunzione laterale nella caviglia? Molti sono da ricercare nella sofferenza cronica dei legamenti, altri hanno a che fare con la patologia dei tendini peroneali.
Questa condizione spazia da una semplice tenosinovite fino a una più complicata e ricalcitrante tendinite che può in alcuni casi includere strappi peroneali: si tratta della Triade laterale in inversione di caviglia. La patologia dei tendini peroneali è spesso riscontrabile in presenza di attività ripetitiva e prolungata, specie in casi di ripresa dopo un periodo di lungo riposo. La patologia peroneale quindi, segue dinamiche di lesione che possono guidare nella selezione di appropriate modalità diagnostiche e di approcci risolutivi.
Anatomia
L’anatomia rilevante per lo studio della Triade laterale di caviglia include il peroneo lungo e quello breve, associato alla guaina tendinea, ai legamenti collaterali di caviglia, incluso il talofibulare anteriore, il calcaneofibulare, e il talofibulare posteriore.
I tendini peroneali originano dal muscolo peroneale, che è innervato dai rami superficiali del nervo peroneale, e sono localizzati nel comparto nel comparto laterale della gamba. Il tendine del peroneo lungo decorre posteriormente a quello del peroneo breve fino al livello della caviglia. I due tendini condividono una guaina sinoviale da 4 cm sopra la punta distale del perone. Viaggiano lungo e attraverso la doccia retromalleolare rivestita di cartilagine, sulla superficie distale della fibula (la forma di questa doccia può avere rapporto con la dislocazione e la sublussazione dei tendini peroneali). I due tendini sono tenuti fermi nella doccia retromalleolare dal retinacolo dei peroneali. Quando i tendini cambiano angolazione attorno all’apice del malleolo, la guaina tendinea si biforca. Il peroneo breve viaggia secondo una rotta diritta fino all’inserzione alla base del 5° metatarsale. Il peroneo lungo esegue una rotta più complessa: intimamente e subito al disotto del tubercolo peroneale, decorre fino alla parete laterale del calcagno e poi alla doccia del cuboide, dove piega medialmente trovando inserzione plantare alla base del primo osso metatarsale e sul cuneiforme mediale. Un Os peroneum è spesso rintracciabile lateralmente al cuboide, e a volte può essere implicato nello sviluppo di sintomatologia algica sul tendine del peroneo.
Il peroneo breve everte e abduce il piede, plantarflettendo nel contempo la caviglia. Il peroneo lungo everte anch’esso il piede, e secondariamente plantarflette la caviglia; plantarflette anche il primo raggio stabilizzando tutta la colonna mediale del piede durante la fase di stance della deambulazione. Per questo motivo i tendini peroneali sono stabilizzatori dinamici dei legamenti del comparto laterale di caviglia.
Il meccanismo distorsivo acuto si presenta come una rapida plantarflessione e inversione di caviglia, con il piede in una posizione di carico. In questa fase di stance i tendini peroneali sono in posizione di massima tensione, per cui sono esposti a lesione.
Risultati clinici
I pazienti che sviluppano una Triade laterale di caviglia presentano di solito una storia di distorsione alla caviglia. I risultati clinici includono edema localizzato al centro della caviglia in posizione antero-laterale e nella zona del seno del tarso, ricoprendo il legamento crociato anteriore talofibulare. Se presente, un’altra zona edematosa che segue il decorso dei tendini peronei è segno sicuro che il paziente ha subto una più complessa distorsione rispetto ad una normale storta: un versamento di sangue dentro la guaina tendinea e una sinovite, che spesso accompagnano una sofferenza dei tendini peroneali, causano questo tipo di edema.
Una morbidezza alla pressione è quasi sempre presente direttamente sopra i legamenti lesionati o sopra il tendine stirato. Un aiuto nella valutazione di presenza di capsulite articolare è fornito dalla lenta e metodica palpazione della linea anteriore articolare della caviglia, combinata con la manipolazione e il minore movimento articolare: la palpazione dell’articolazione antero-laterale in combinazione con una inversione aiutano a identificare la presenza di adesioni e bande fibrose, che spesso accompagnano una distorsione cronica di caviglia. Devono inoltre essere eseguite alcune manovre di stress: il test di stress in inversione con la caviglia in posizione dorsiflessa e plantarflessa servono per valutare l’integrità dei legamenti talofibulare anteriore e calcaneofibulare. La lassità è spesso associata allo stress di inversione e questa manovra spesso causa dolenzìa. Lo stress del cassetto anteriore valuta la forza del comparto anteriore del legamento talofibulare: in presenza di uno strappo o di uno stiramento di questo legamento, si rileva una maggior migrazione della caviglia rispetto all’arto controlaterale e spesso questo movimento causa dolore al paziente. Vanno eseguiti stress di forza sui muscoli bilateralmente, avendo cura di segnare debolezze o dolorosità suscitate. In presenza di strappo o di lesioni longitudinali dei tendini peronieri, la debolezza non è riscontrabile se non quando la sofferenza diviene cronica. Una completa rottura risulterà ovviamente in una perdita di forza del complesso tendineo, ma queste sono molto meno comuni di una Triade.
Fattori predisponenti una Triade laterale di caviglia
Questa tripla lesione ha fattori predisponenti. In molti casi è presente una storia di distorsione tibiotarsica o di recidive. In assenza di una sofferenza acuta, una sofferenza tendinea cronica può essere il risultato di un’instabilità cronica di caviglia. Con questa lassità di base, è possibile una escursione eccessiva del complesso articolare tibio-fibulo-astragalico anche nella normale vita di tutti i giorni, ma specialmente in presenza di strenue attività e esercizi ripetitivi. Nel tempo ciò conduce allo sviluppo di sinovite articolare e delle volte alla formazione di bandellette fibrosi che spesso vengono rivelate solo in sede di artroscopia.
Altri fattori predisponenti e/o che contribuiscono allo sviluppo di una Triade di caviglia includono un baso ventre muscolare peroneale, la presenza del peroneo quarto, un piede cavo, una dislocazione, una sublussazione del tendine peroneale, la forma anormale o una profondità insufficiente della doccia retromalleolare, un tubercolo peroneale ipertonico, un piede equino, attività ripetute come corsa o danza, attività fisica aggressiva dopo un periodo di inattività. Un piede equino non è tipicamente citato come fattore contribuente in casi di sofferenza cronica dei legamenti di caviglia e del tendone peroneale, ma dovrebbe invece essere considerato. Il meccanismo distorsivo infatti si presenta, come già evidenziato, quando il piede è in carico e la caviglia è plantarflessa e supinata. I pazienti con significativa deformità in equinismo possiedono questa articolazione in continuo stato di plantarflessione; in maniera similare ad un piede di tipo cavo – con piede e caviglia in posizione di inversione – un piede equino contribuisce fortemente sul potenziale di compromissione e di stress a livello laterale della caviglia, mantenendo questa articolazione meno stabile e in attitudine di plantarflessione. L’effetto di una instabilità di caviglia dovrebbe essere sempre esaminato e trattato tenendo conto dei fattori contribuenti la lesione. Una ottima guarigione del tendine è comunque inaccettabile se non abbinata ad una correzione di deformità in cavo-varo del piede tramite ortesi plantari di compensazione e, ove necessario, interventi di correzione chirurgica. Questi tendini vanno infatti preservati e supportati nel loro ruolo di stabilizzazione di caviglia alla stessa stregua di quanto il tibiale posteriore viene agevolato con ortesi e interventi che prevengano il collasso della volta.
La Triade del comparto laterale di caviglia è da considerare in tutti i casi di instabilità cronica di caviglia e devono essere valutati questi 3 elementi: integrità laterale dei legamenti collaterali, possibile presenza di sinovite intra-articolare, grado di lesione dei tendini peroneali. Forti distorsioni con sofferenza del tendine tale da dover richiedere intervento chirurgico ha minore indicazione di artroscopia rispetto ad un caso di instabilità cronica di caviglia con dolore e cronica tendinopatia peroneale.
La risonanza magnetica rivela spesso la presenza di una lacerazione cronica del legamento talofibulare anteriore (83% dei casi distorsivi senza fratture) con patologia spesso anche del legamento talofibulare posteriore (34%) e del legamento calcaneofibulare (67%). Nei casi distorsivi la lesione della capsula articolare si verifica nel 33% dei casi, mentre una sofferenza dei tendini peroneali si riscontra nel 16% dei casi.

In conclusione, le raccomandazioni principali da tenere in considerazione sono: ottenere una risonanza magnetica per la valutazione della patologia tendinea peroneale, valutare i legamenti collaterali della caviglia per notare instabilità anche in assenza di documentazione attraverso diagnostica per immagini, considerare l’indicazione di artroscopia come procedura aggiuntiva per evitare degenerazioni e peggioramenti futuri. La Triade laterale di caviglia può aiutare i clinici nello studio delle possibili combinazioni degli eventi lesionali, i quali con un attenta indagine possono rivelare cambiamenti nascosti che possono manifestarsi in presenza di instabilità cronica di caviglia e sofferenza dei tendini peroneali.

lunedì 17 gennaio 2011

Il test di resistenza alla supinazione

La determinazione dell’asse della sottoastragalica in relazione al piede è un importante esame clinico la cui corretta tecnica permette di apprezzare i momenti di pronazione e supinazione che agiscono attorno all’articolazione. (Kirby, Kevin A.: "Methods for Determination of Positional Variations in the Subtalar Joint Axis", J. American Podiatric Medical Assoc., 77:228-234, May 1987; and, Kirby, Kevin A. Foot and Lower Extremity Biomechanics: A Ten Year Collection of Precision Intricast Newsletters. Precision Intricast, Inc., Payson, Arizona, 1997, pp. 49-52).
Una volta che si raggiunge una certa pratica con questa tecnica, sarà possibile notare che i pazienti con medializzazione dell’asse della sottoastragalica tendono a pronare a fondo corsa questa articolazione quando rimangono in posizione di carico rilassato del calcagno (RCSP – relaxed calcaneal stance position) mentre invece pazienti con deviazione in laterale dell’asse della sottoastragalica tendono a mantenere questa articolazione in leggera supinazione quando si trovano in stato di stance rilassata. Tuttavia una volta che il piede agisce per controllare il carico, è difficile determinare la localizzazione spaziale dell’asse ASA. Dal momento che il metodo per la determinazione del posizionamento dell’asse ASA non in carico è differente da quello utilizzato a catena cinetica chiusa, è necessario sviluppare tecniche basate su un approccio differente.
Uno dei metodi è appunto definibile come Test di resistenza alla supinazione, dalla traduzione dell’anglofono Supination resistance test.
Questo test è apparso in letteratura per la prima volta nel 1992 (Kirby, Kevin A., and Donald R. Green: "Evaluation and Nonoperative Management of Pes Valgus", pp. 295-327, in DeValentine, S.(ed), Foot and Ankle Disorders in Children. Churchill-Livingstone, New York, 1992, p. 314).
Per compiere il test di resistenza alla supinazione, al paziente viene chiesto di posizionarsi comodamente in bipedestazione eretta, con l’angolo dei piedi nella posizione a lui naturale e la base di appoggio spontanea. Al paziente deve essere chiesto anche di rilassare i piedi durante la durata del test, in modo tale che la muscolatura intrinseca non si contragga involontariamente. In altre parole il soggetto non deve tentare di pronare o supinare la sottoastragalica per non minare il risultato del test. Compiuto ciò, l’esaminatore posiziona il polpastrello dell’indice e del dito medio direttamente plantarmente l’aspetto mediale del navicolare e dell’arco plantare del piede. Fatto ciò il podologo deve tirare verso l’alto il navicolare parallelamente all’asse della tibia.
Quando l’esaminatore comincia a tirare superiormente l’arco, dovrebbe notare il grado di resistenza che il piede del paziente oppone a questa forza. In aggiunta, è utile notare la quantità di forza necessaria per supinare la sottoastragalica dalla posizione di riposo iniziale. Ulteriore cura dev'essere spesa per evitare che il paziente venga spinto fouri dal proprio poligono d'appoggio e che cerchi di conseguenza di attivare muscoli alternativi che non utilizza solitamente in bipedestazione rilassata. In generale se il test viene effettuato come spiegato il paziente non si sente spinto oltre la propria zona di equilibrio.
In un piede con un asse ASA in posizione normale (che passa da posteriore attraverso la porzione laterale della tuberosità calcaneare ad anteriore attraverso la prima area intermetatarsale) l'esaminatore deve esercitare solo alcuni chili di forza per causare una supinazione della sottoastragalica. Se l'asse della sottoastragalica è deviato lateralmente, la quantità di forza espressa dalle dita necessaria è inferiore al normale. Se l'asse ASA è medializzato, sarà necessaria una forza maggiore per supinare l'articolazione. In caso di asse ASA severamente medializzato, tale che esso passa direttamente attraverso oltre l'aspetto mediale del navicolare, l'esaminatore non sarà in grado di supinare l'ASA durante il test.
I principi biomeccanici dietro il test di resistenza alla supinazione sono relativamente semplici. Più l'asse ASA è lateralizzato nella bipedestazione, maggiore è la lunghezza del braccio di leva a disposizione dell'esaminatore per produrre una supinazione ASA attorno al suo asse spingendo verso l'alto la porzione mediale dello scafoide. Viceversa quando l'asse ASA è medializzato in catena cinetica chiusa il braccio di leva si fa più corto ed è quindi necessaria una forza maggiore per la supinazione. Nel caso di asse ASA severamente medializzato non esiste alcun braccio di leva per produrre supinazione, pertanto la supinazione nel test è impossibile se non con una grande forza.
Come per la maggior parte dei test, quello di resistenza alla supinazione deve essere svolto svariate volte prima che l'operatore possa sentire propria questa tecnica. Si tratta però di una pratica semplice che diventa elementare dopo una decina di prove e che proprio per la sua facilità diventa un metodo efficente per guadagnare maggior informazioni possibili sullo stato delle forze che agiuscono nello stato di carico. Questo è vero soprattutto quando consideriamo che l'area del piede di interesse per lo svolgimento del test è anche il punto di inserzione del muscolo tibiale posteriore. Di tutti i muscoli della gamba, il tibiale posteriore ha il braccio di leva più lungo per produrre supinazione attorno l'asse ASA durante le attività sotto carico.

Con la pratica sarà anche impressionante notare come il peso corporeo dell’individuo ha meno effetto sulla quantità di forza necessaria per supinare la sottoastragalica rispetto alla posizione del suo asse. Capita spesso di esaminare bambini di peso inferiore ai 25 kg con deformità del piede piatto flessibile che richiedono molta più forza applicata per supinare la sottoastragalica rispetto ad adulti di 90 kg con piedi cavi. Il test di resistenza alla supinazione permette all’esaminatore di fare esperienza diretta delle forze che agiscono sull’articolazione sottoastragalica, forze atrimenti difficili da misurare attraverso ogni altro sistema valutativo.
La facoltà podiatrica presso l’università di La Trobe (Melbourne, Australia) sta compiendo una ricerca per scoprire la possibile correlazione fra il test di resistenza alla supinazione e il rischio di lesioni . Sono stati presi in esame 28 individui che avevano problemi con un solo arto, tutti precedentemente descritti o diagnosticati come “eccessiva pronazione monolaterale”. Di questi soggetti è stato registrato un protocollo che classifica i piedi in categorie in base alle osservazioni visive (indice posturale) sia della parte lesa sia del lato illeso; quindi è stata misurata la resistenza alla supinazione sul lato infortunato e su quello illeso. È stato scoperto che prendendo in considerazione solo l’indice posturale, il piede dal lato ferito è stato valutato come pronato in 15 dei 28 soggetti. Tuttavia la resistenza alla supinazione era maggiore sul lato ferito in 25 dei 28 soggetti. Se una tale riscontro si verificasse su scala più ampia, ne risulterebbe che il test di resistenza alla supinazione è più predittivo della valutazione in base all’osservazione visiva (un esempio su tutti la ricerca sull’uniformità di curve fra i profili tibiale e calcaneare). Per poter dare una risposta sono necessari altri studi prospettici e per questo l’invito a tutti gli operatori è di fare il più ampio uso di questo veloce test.

La prova di resistenza supinazione è oggi probabilmente una delle valutazioni più importanti sul paziente per dettare la scelta dell’ortesi più corretta. E’ più oggettiva da valutare dell’indice posturale, tuttavia è necessario ulteriore lavoro per comprendere appieno se la resistenza alla supinazione può essere utilizzato come gold standard nella predizione del rischio di lesione o possa essere validamente utilizzato per determinare le risposte cinematica e dinamica ai diversi livelli di forza fornita dalle ortesi del piede.

domenica 7 novembre 2010

Biomeccanica della torsione abduttoria


La torsione abduttoria si presenta come un rapido sbandamento mediale del tallone durante o poco prima della fase di sollevamento del calcagno che precede la propulsione vera e propria del piede. Il risultato è un movimento in abduzione del piede nel momento pre-propulsivo, cioè una rapida rotazione esterna del piede e di tutto l’arto inferiore attorno alle teste metatarsali. Si tratta di una condizione spesso associata a una pronazione anomala in fase di midstance.

ROTAZIONI DELL’ARTO DURANTE LA MARCIA
Per poter compiere il programma locomotorio della marcia, le estremità inferiori devono ruotare in direzioni opposte sul piano sagittale; in altre parole quando la gamba sinistra si muove in avanti, quella destra è spostata indietro e viceversa. Questa contro-rotazione si sviluppa in maniera coordinata con un’altra rotazione, quella sul piano trasverso a livello della pelvi per permettere una lunghezza del passo maggiore e nel contempo per rendere la locomozione bipodalica più efficiente e armoniosa. Ne consegue che rotazioni orizzontali della tibia, del femore e della pelvi sono sincroniz-
zate durante il cammino. La pelvi raggiunge la massima
rotazione sul piano trasverso nei momenti di contatto dell’avampiede e di stacco delle dita. Mentre l’arto inferiore sinistro si muove anteriormente dallo stacco delle dita fino al primo contatto del tallone (fase di volo), l’emibacino sinistro si muove anteriormente rispetto a quello de-
stro. Allo stesso tempo l’arto destro si muove posteriormente dal contatto dell’avampiede allo stacco delle dita (fase di stance), causando una rotazione in senso opposto dell’emibacino destro rispetto al sinistro.
I movimenti dell’arto inferiore che avvengono sul piano sagittale causano quindi rotazioni cicliche che la pelvi sviluppa sul piano orizzontale in modo tale che durante la midstance l’anca adibita alla fase di volto si troverà in posizione anteriore rispetto all’anca adibita alla fase di stance.

EFFETTO DELLE FORZE DI REAZIONE SULLA ROTAZIONE PELVICA
E’ noto che durante la fase di stance il piede è tenuto saldo a terra dalle forze di frizione provenienti dal suolo. Quindi, a meno che il piede non scivoli sul suolo, esso non può ruotare attorno al piano trasverso insieme alla pelvi per seguire la spinta rotatoria da essa proveniente. Il piede e la gamba devo possedere un meccanismo che permetta al femore e alla tibia di ruotare esternamente assieme alla pelvi smorzando mano a mano in direzione prossimo-distale le componenti rotatorie che altrimenti causerebbero o la lesione delle articolazioni mantenute fisse dalla forza di reazione del suolo, o lo scivolamento del piede a terra.
Tale meccanismo è costituito dall’assestamento triplanare dell’articolazione sottoastragalica, che concede alla tibia di
muoversi liberamente: astragalo, tibia e asse della sottoastragalica ruotano tutti esternamente mediante compensati
dalla supinazione dell’ASA.

PATOMECCANICA DELLA PRONAZIONE ANOMALA DELL’ASA
La pronazione dell’ASA, quando avviene in maniera anormale durante la fase di midstance, causa l’intrarotazione di tibia e femore nel momento in cui essi dovrebbero trovarsi in extrarotazione. Ne consegue che queste due ossa lunghe si muovono in direzione opposta rispetto alla pelvi, a causa delle diverse rotazioni dei capi ossei o anche solo per una variazione di velocità fra rotazione della pelvi e quella delle articolazioni più distali. Come conseguenza, i tessuti molli di anca e ginocchio vengono stirati eccessivamente. Le forze frizionali tra piede e suolo tuttavia impediscono momentaneamente l’abduzione del piede spinto dall’avanzamento dell’emibacino. Quando la tibia si trova ad extrarotare più lentamente rispetto alla pelvi o addirittura in senso opposto, legamenti e altri tessuti molli di ginocchio e caviglia si stirano e accumulano energia potenziale elastica alla base della successiva torsione abduttoria, il momento cioè in cui l’energia potenziale rilascerà energia cinetica, e tendini e legamenti torneranno alla loro normale lunghezza.

PATOMECCANICA
Poco prima del distacco del tallone, ogni momento extrarotatorio sul femore e sulla tibia, causato dalla rotazione pelvica e accumulatosi durante la midstance, si risolve sprigionando una rapida extrarotazione del piede. Il rapido scivolamento mediale del tallone che compone questa extrarotazione podalica è appunto dovuto al rilascio repentino di questa energia potenziale accumulata durante la tensione elastica dei tessuti molli, con il risultato finale di una torsione abduttoria.
Fintato che il piede è tenuto saldo al suolo, quindi, le forze extratorsionali non sono in grado di sovrastare la frizione del suolo e non sviluppano una torsione abduttoria. Quando però durante il sollevamento del tallone la superficie di appoggio diminuisce improvvisamente, l’energia cinetica si libera, i tessuti molli riacquisiscono la loro forma e lunghezza originari e il piede viene abdotto. Non solo la superficie di appoggio inferiore, ma anche variabili come tipo di terreno (ghiaccio, alcuni parquet e linoleum) o tipo di suola (fondo cuoio o para) sono in grado di ridurre la frizione tra il suolo e la scarpa e aumentare quindi il twist in abduzione.
Altri importanti fattori che influenzano la torsione abduttoria possono essere:

- Velocità e lunghezza del passo: aumentano la velocità e la quantità di rotazione orizzontale della pelvi e tendono quindi ad aumentare la torsione abduttoria.

- Angolo del piede durante la fase di contatto: un posizionamento in adduzione
(dovuto a metatarso varo o cammino intraruotato) durante la prima parte dell’appoggio podalico causano uno stiramento maggiore dei tessuti articolari, aumentando la tendenza alla torsione abduttoria.

- Pronazione ASA anomala: come già descritto, la pronazione durante la fase tardiva di midstance è una delle cause principali di torsione abduttoria. In questi pazienti è necessario ristabilire una corretta e più veloce supinazione dell’articolazione per prevenire la torsione abduttoria, la quale è un chiaro segno di stress dei tessuti articolari e deve essere quindi prevenuta.

Molto spesso la torsione abduttoria si associa ad hallux limitus funzionale, poiché entrambe le anomalie sono causate dalla pronazione anomala della sottoastragalica.

CONCLUSIONE
La torsione abduttoria o abductory twist è nel contempo segno e complicazione di un disadattamento rotazionale sul piano trasverso fra la velocità della pelvi e quella dell’arto inferiore durante la fase di appoggio intermedio. Per questo motivo può essere usato come indicatore di una meccanica anormale del passo che potrebbe essere difficile rilevare altrimenti con strumenti anche costosi. Qualunque siano le parole che verranno scelte per indicarla, ci auguriamo che venga presto adottata fra la terminologia clinica quotidiana, poiché si tratta di un segnale semplice ed estremamente utile da notare, che può e deve guidare lo specialista nella decisione della corretta terapia da intraprendere.