giovedì 3 novembre 2011

La ricerca di un approccio unificato alla biomeccanica podiatrica: revisione delle teorie sul funzionamento e sulla terapia ortesica del piede. PARTE 1




I podologi applicano terapie e teorie per trattare i difetti del cammino e i loro sintomi da quando la nostra professione ha cominciato a svilupparsi nel18esimo secolo. Più recentemente si sono affermate tre macroteorie nella letteratura, in relazione al trattamento delle patologie podaliche. La teoria della neutralità della sottoastragalica (STJN), quella dello stress tissulare (TS) e quella della facilitazione del piano sagittale (SPF). Questi sono gli approcci più accettati in relazione alle disfunzioni del passo. Nonostante queste teorie appaiano diverse nelle loro applicazioni, il consenso comune attorno al successo del loro utilizzo mantiene viva la difesa di ciascuna metodologia da parte di ogni suo sostenitore.
In questo articolo verranno esposti i capisaldi teoretici e i metodi di prescrizione ortesica in base a queste linee di pensiero, in quanto l'analisi critica di ciascuna teoria è già ampiamente dibattuta in altre e in questa stessa sede. Al termine delle analisi si cercherà di riassumere una teoria “unificata” che faciliti il compito clinico, diagnostico e di trattamento per lo specialista.

La teoria della morfologia del piede
Fra il 1958 e il 1959, Merton L. Root, pioniere dell'ortesi funzionale podalica, condusse centinaia di studi biomeccanici e cominciò a definire la posizione di neutralità della sottoastragalica. La teoria che lui e i suoi colleghi crearono si bassa sulla premessa che che un piede funziona normalmente quando questa articolazione incontra la posizione di neutralità subito dopo il contatto del tallone a terra e alla fine della midstance. la morfologia del piede (MdP) era caratterizzata e riferita a questa posizione detta STJN, e la relazione tra normalità e anormalità veniva stabilita secondo tale parametro. Sebbene il Dr. Root possa aver prodotto l'ortesi basandosi sulla propria pratica clinica, non ci sono testi descrittivi della prescrivibilità o del metodo di manifattura di questi dispositivi. Ciononostante, molti autori citano il Dr. Root nelle loro interpretazioni dei propri testi e letterature sulle ortesi podaliche, spesso utilizzando terminologie come Rootiano o Ortesi di Root modificata. Sarebbe erroneo assumere che Root avrebbe condiviso tale interpretazione del suo lavoro, nonostante tutti questi autori basino la loro descrizione terapeutica plantare sulle MdP e STJN. La premessa di questo modello di gestione prevede di identificare la MdP che è anormale, per esempio avampiede varo, e prescrivere un dispositivo ortesico atto a prevenire le conseguenze anormali di un moto compensatorio, es. eccessiva pronazione sottoastragalica. E' facile concludere quanto questo tipo di approccio terapeutico sia in voga fra i professionisti odierni.
La maggioranza dei testi che descrivono le ortesi in relazione al lavoro di Root sono concordi sul seguente tipo di approccio: la teoria della morfologia del piede è designata per bilanciare una deformità mediante cunei e fissaggi stabilizzati sotto il plantare su misura (posting). Il protocollo di prescrizione comincia con un presa forma del piede (cast) in posizione di scarico neutrale. La forma del cast neutrale è di primaria importanza, poiché è essenziale per catturare il corretto allineamento avampiede-retropiede e l'angolo di inclinazione calcaneare. Il modello viene poi angolato con un posting intrinseco di avampiede per posizionare la bisezione del tallone all'inclinazione desiderata. Il grado di posting necessario a raggiungerla è calcolato prendendo come riferimento il valore di posizione neutrale del calcagno del paziente (NCSP - neutral calcaneal stance position) e sottraendo il numero di gradi necessari a raggiungere la normale pronazione. L'altezza dell'asse della sottoastragalica è usata per determinare la quantità di pronazione consentita. Il post di retropiede è molato in modo tale da aggiungere ulteriori 4 gradi di varismo per un asse medio di sottoastragalica. Un post di retropiede per asse ASA alto permette 2° di movimento, uno per asse basso ne permette 6; ciò controllerà il movimento del piede da una NCSP fino alla posizione di pronazione prescritta. Per mantenere il posting e la forma dell'ortesi, si raccomandano solo materiali rigidi (acrilici o fibra in carbonio) più un posting in acrilico per il retropiede. Classicamente il guscio termina al 25% della lunghezza del primo raggio.

Teoria della facilitazione del piano sagittale
Howard Dananberg pubblicò per la prima volta le sue teorie nel 1986. Con i suoi colleghi elaborò una teoria che evidenzia l'importanza del piede come pivot che rotola in avanti dal tacco alla punta, così da consentire un'estensione adeguata dell'anca terminando con la fase propulsiva del passo. Un alluce limitato funzionale e un equinismo di caviglia sono due esempi patologici che possono causare una restrizione dei movimenti del piede, risultando in ciò che Dananberg definisce un bloccaggio sul piano sagittale. L'equinismo di caviglia è definito come essere l'impossibilità di dorsiflessione fino a 100°, l'alluce limitato funzionale invece è una prima articolazione metatarso-falangea strutturalmente in grado di permettere un movimento fisiologico ma incapace di dorsiflettere adeguatamente durante il cammino. Dananberg correlò da subito disordini come quelli descritti a problemi legati alla postura, uno su titti la lombalgia.
E' possibile usare questa teoria per spiegare le anormalità e le algie dei piedi, tanto che oggi si tratta di un pensiero accettato da molti professionisti.
La prescrizione ortesica si basa sulla prova per tentativi, basandosi sugli errori commessi dal paziente durante la deambulazione, quest’ultima ripresa con sistemi video e di gait analisis, senza e durante l'uso delle ortesi e successive modifiche di esse. A differenza della teoria della MdP, i metodi per determinare quale posting, quale durezza del guscio, rialzo del targone e altro, sono determinati senza badare alla relazione avampiede-retropiede o all'asse ASA. Dananberg cita anche l'uso di modifiche del plantare, ritagli a livello del primo raggio e specifiche estensioni all'avampiede per incoraggiare la propulsione mediale. Infatti, la quantità di posting è, se confrontata alla teoria precedente, molto inferiore: anche 1° e potenzialmente totalmente differente dal ciò che sembra necessario da un'esame statico. Il metodo di prescrizione rimane documentato separatamente, in quanto Dananberg non ha prodotto alcuna guida passo passo per la propria metodologia, rendendo difficile per i praticanti replicare il suo approccio tecnologio intricato. L'esperienza, ancora una volta, guida nella scelta delle modifiche alle ortesi. Dananberg ha sempre unicamente affermato che l'ortesi dovrebbe essere fabbricata in base all'esame funzionale invece che sull'esame statico. C’è uno spiraglio però: nello scritto “Sagittal Plane Biomechanics,” in Sports Medicine of the Lower Extremity, 1999. Danamberg ricollega la propria teoria al trattamento delle patologie identificate da Root, designando alcune prescrizioni basandosi su tre tipologie di piedi definiti in maniera sommaria. Ciò appare essere quanto di più simile fornito dall'autore in merito alle linee guida. La tabella 1 mostra un riassunto delle opzioni di trattamento che si evincono dalla teoria del piano sagittale, così come redatto dal suo autore secondo le pubblicazioni.

Tabella 1. Riassunto delle opzioni di trattamento dalla prospettiva della teoria della facilitazione del piano sagittale
Le ortesi sono fatte su misura in base alle impressioni sui piedi, ma il metodo di produzione non è noto. Dananberg è stato recentemente coinvolto nella produzione di un plantare prefabbricato non su misura, l'ortesi di Vasyli Howard Dananberg (VHD - foto 1e 2), che potrebbe eliminare la necessità del casting

Usare l'assetto dinamico e statico per stabilire ogni necessità per la correzione di differenza di lunghezza degli arti mediante rialzi sul tallone

Manipolare le aree di ridotta motilità così come la prima metatarsofalangea e l'articolazione talocrurale, se necessario

Fornire un rialzo stabile per il tallone onde ridurre gli effette di un equino di caviglia

Usare sottrazioni sopra o sotto il plantare a livello del primo raggio se è presente un alluce limitato funzionale. La grandezza del ritaglio dipende dal reperto dinamico. Un cuneo dinamico e una piattaforma digitale possono essere utili.

un post per retropiede può potenzialmente essere pericoloso in quanto ostacola la lateralizzazione del calcagno, pertanto è meglio utilizzare post piatti, a meno che non sia presente un contatto iniziale con appoggio medializzato del retropiede: in tal caso il massimo richiesto è considerato di 3°.

Identificare e irrobustire le debolezze dei muscoli periastragalici come il peroniero lungo e il tibiale posteriore. I loro tendini sono indispensabili per il corretto lavoro dell'ASA
A seconda di ciò che risulta dall'analisi dinamica, non impiantare cunei avampodalici superiore ai 3°, siano essi in supinazione o pronazione

Usare materiali dal semirigido al flessibile: sia permettere che controllare il movimento articolare sono concetti cardine

Se lo stacco anticipato del tallone è un problema, usare una gomma morbida come ammortizzatore sotto il retropiede











martedì 8 marzo 2011

La Triade laterale nelle lesioni distorsive di caviglia

Il ventuno percento delle lesioni atletiche è causato da inversione traumatica di caviglia.
Le lesioni alla caviglia sono molto frequenti: solo negli Stati Uniti ogni anno avvengono 27.000 distorsioni. Tipica di questo meccanismo traumatico è la lesione della fascia del legamento talofibulare anteriore. La maggioranza delle distorsioni di caviglia guarisce senza lasciare sequele,  nonostante il trattamento insufficiente eseguito dalla maggior parte della popolazione così come dagli operatori sanitari responsabili del prime visite. La distorsione di caviglia, come la frattura delle dita, viene sottovalutata dal pubblico generale poiché sussiste l'errata credenza che niente possa essere fatto per rimediare al trauma.
Per questo motivo vengono evitate visite mediche e valutazioni terapeutiche. Potrebbe essere questa la causa delle frequenti "storte" recidive, instabilità di caviglia e disabilità che conseguono una distorsione considerata "di routine". Subito dopo il trauma il rimedio casalingo si esplica con una minima immobilizzazione iniziale, cui troppo spesso segue un rapido ritorno al carico; infine la riabilitazione è spesso ignorata, con il risultato di una perdita di propriocezione.
Nonostante la buona guarigione da alcuni traumi distorsivi, approssimativamente fra il 15% e il 20% dei pazienti continua ad accusare dolore e instabilità. Altre fonti rilevano che la percentuale aumenta fino al 40% o addirittura il 73%. Verificate voi stessi durante la pratica clinica: noterete come non si tratta di un risultato statistico esagerato.Lo strappo dei tendini peroneali non è facile da diagnosticare al primo tentativo in quanto è presente in presenza di un danno da inversione di caviglia. Solo il 60% dei disordini ai tendini peroneali viene diagnosticato accuratamente alla prima valutazione clinica. Questo tipo lesioni spesso viene generalizzata e diagnosticata come "altra distorsione di caviglia", e viene spesso non trattata con il principio PRICE (protezione, riposo, ghiaccio, compressione, elevazione) consigliato solo casualmente in pronto soccorso piuttosto che dal medico d'urgenza o dall'infermiere. Cionondimeno c'è ampia evidenza in letteratura che dimostra la riduzione di tempi di ricovero garantita dall'uso di ghiaccio e compressione. Grazie alla crioterapia applicata nelle prime 36 ore, in media l'articolazione distorta raggiunge la propria funzionalità nel giro di 2 settimane, che è la metà del tempo necessario se il ghiaccio viene applicato dopo le 36 ore. 33 giorni è invece il tempo calcolato se il trauma viene trattato con il calore.
Quali sono i punti in comune fra i pazienti che hanno  che fare con dolore prolungato, gonfiore, instabilità e disfunzione laterale nella caviglia? Molti sono da ricercare nella sofferenza cronica dei legamenti, altri hanno a che fare con la patologia dei tendini peroneali.
Questa condizione spazia da una semplice tenosinovite fino a una più complicata e ricalcitrante tendinite che può in alcuni casi includere strappi peroneali: si tratta della Triade laterale in inversione di caviglia. La patologia dei tendini peroneali è spesso riscontrabile in presenza di attività ripetitiva e prolungata, specie in casi di ripresa dopo un periodo di lungo riposo. La patologia peroneale quindi, segue dinamiche di lesione che possono guidare nella selezione di appropriate modalità diagnostiche e di approcci risolutivi.
Anatomia
L’anatomia rilevante per lo studio della Triade laterale di caviglia include il peroneo lungo e quello breve, associato alla guaina tendinea, ai legamenti collaterali di caviglia, incluso il talofibulare anteriore, il calcaneofibulare, e il talofibulare posteriore.
I tendini peroneali originano dal muscolo peroneale, che è innervato dai rami superficiali del nervo peroneale, e sono localizzati nel comparto nel comparto laterale della gamba. Il tendine del peroneo lungo decorre posteriormente a quello del peroneo breve fino al livello della caviglia. I due tendini condividono una guaina sinoviale da 4 cm sopra la punta distale del perone. Viaggiano lungo e attraverso la doccia retromalleolare rivestita di cartilagine, sulla superficie distale della fibula (la forma di questa doccia può avere rapporto con la dislocazione e la sublussazione dei tendini peroneali). I due tendini sono tenuti fermi nella doccia retromalleolare dal retinacolo dei peroneali. Quando i tendini cambiano angolazione attorno all’apice del malleolo, la guaina tendinea si biforca. Il peroneo breve viaggia secondo una rotta diritta fino all’inserzione alla base del 5° metatarsale. Il peroneo lungo esegue una rotta più complessa: intimamente e subito al disotto del tubercolo peroneale, decorre fino alla parete laterale del calcagno e poi alla doccia del cuboide, dove piega medialmente trovando inserzione plantare alla base del primo osso metatarsale e sul cuneiforme mediale. Un Os peroneum è spesso rintracciabile lateralmente al cuboide, e a volte può essere implicato nello sviluppo di sintomatologia algica sul tendine del peroneo.
Il peroneo breve everte e abduce il piede, plantarflettendo nel contempo la caviglia. Il peroneo lungo everte anch’esso il piede, e secondariamente plantarflette la caviglia; plantarflette anche il primo raggio stabilizzando tutta la colonna mediale del piede durante la fase di stance della deambulazione. Per questo motivo i tendini peroneali sono stabilizzatori dinamici dei legamenti del comparto laterale di caviglia.
Il meccanismo distorsivo acuto si presenta come una rapida plantarflessione e inversione di caviglia, con il piede in una posizione di carico. In questa fase di stance i tendini peroneali sono in posizione di massima tensione, per cui sono esposti a lesione.
Risultati clinici
I pazienti che sviluppano una Triade laterale di caviglia presentano di solito una storia di distorsione alla caviglia. I risultati clinici includono edema localizzato al centro della caviglia in posizione antero-laterale e nella zona del seno del tarso, ricoprendo il legamento crociato anteriore talofibulare. Se presente, un’altra zona edematosa che segue il decorso dei tendini peronei è segno sicuro che il paziente ha subto una più complessa distorsione rispetto ad una normale storta: un versamento di sangue dentro la guaina tendinea e una sinovite, che spesso accompagnano una sofferenza dei tendini peroneali, causano questo tipo di edema.
Una morbidezza alla pressione è quasi sempre presente direttamente sopra i legamenti lesionati o sopra il tendine stirato. Un aiuto nella valutazione di presenza di capsulite articolare è fornito dalla lenta e metodica palpazione della linea anteriore articolare della caviglia, combinata con la manipolazione e il minore movimento articolare: la palpazione dell’articolazione antero-laterale in combinazione con una inversione aiutano a identificare la presenza di adesioni e bande fibrose, che spesso accompagnano una distorsione cronica di caviglia. Devono inoltre essere eseguite alcune manovre di stress: il test di stress in inversione con la caviglia in posizione dorsiflessa e plantarflessa servono per valutare l’integrità dei legamenti talofibulare anteriore e calcaneofibulare. La lassità è spesso associata allo stress di inversione e questa manovra spesso causa dolenzìa. Lo stress del cassetto anteriore valuta la forza del comparto anteriore del legamento talofibulare: in presenza di uno strappo o di uno stiramento di questo legamento, si rileva una maggior migrazione della caviglia rispetto all’arto controlaterale e spesso questo movimento causa dolore al paziente. Vanno eseguiti stress di forza sui muscoli bilateralmente, avendo cura di segnare debolezze o dolorosità suscitate. In presenza di strappo o di lesioni longitudinali dei tendini peronieri, la debolezza non è riscontrabile se non quando la sofferenza diviene cronica. Una completa rottura risulterà ovviamente in una perdita di forza del complesso tendineo, ma queste sono molto meno comuni di una Triade.
Fattori predisponenti una Triade laterale di caviglia
Questa tripla lesione ha fattori predisponenti. In molti casi è presente una storia di distorsione tibiotarsica o di recidive. In assenza di una sofferenza acuta, una sofferenza tendinea cronica può essere il risultato di un’instabilità cronica di caviglia. Con questa lassità di base, è possibile una escursione eccessiva del complesso articolare tibio-fibulo-astragalico anche nella normale vita di tutti i giorni, ma specialmente in presenza di strenue attività e esercizi ripetitivi. Nel tempo ciò conduce allo sviluppo di sinovite articolare e delle volte alla formazione di bandellette fibrosi che spesso vengono rivelate solo in sede di artroscopia.
Altri fattori predisponenti e/o che contribuiscono allo sviluppo di una Triade di caviglia includono un baso ventre muscolare peroneale, la presenza del peroneo quarto, un piede cavo, una dislocazione, una sublussazione del tendine peroneale, la forma anormale o una profondità insufficiente della doccia retromalleolare, un tubercolo peroneale ipertonico, un piede equino, attività ripetute come corsa o danza, attività fisica aggressiva dopo un periodo di inattività. Un piede equino non è tipicamente citato come fattore contribuente in casi di sofferenza cronica dei legamenti di caviglia e del tendone peroneale, ma dovrebbe invece essere considerato. Il meccanismo distorsivo infatti si presenta, come già evidenziato, quando il piede è in carico e la caviglia è plantarflessa e supinata. I pazienti con significativa deformità in equinismo possiedono questa articolazione in continuo stato di plantarflessione; in maniera similare ad un piede di tipo cavo – con piede e caviglia in posizione di inversione – un piede equino contribuisce fortemente sul potenziale di compromissione e di stress a livello laterale della caviglia, mantenendo questa articolazione meno stabile e in attitudine di plantarflessione. L’effetto di una instabilità di caviglia dovrebbe essere sempre esaminato e trattato tenendo conto dei fattori contribuenti la lesione. Una ottima guarigione del tendine è comunque inaccettabile se non abbinata ad una correzione di deformità in cavo-varo del piede tramite ortesi plantari di compensazione e, ove necessario, interventi di correzione chirurgica. Questi tendini vanno infatti preservati e supportati nel loro ruolo di stabilizzazione di caviglia alla stessa stregua di quanto il tibiale posteriore viene agevolato con ortesi e interventi che prevengano il collasso della volta.
La Triade del comparto laterale di caviglia è da considerare in tutti i casi di instabilità cronica di caviglia e devono essere valutati questi 3 elementi: integrità laterale dei legamenti collaterali, possibile presenza di sinovite intra-articolare, grado di lesione dei tendini peroneali. Forti distorsioni con sofferenza del tendine tale da dover richiedere intervento chirurgico ha minore indicazione di artroscopia rispetto ad un caso di instabilità cronica di caviglia con dolore e cronica tendinopatia peroneale.
La risonanza magnetica rivela spesso la presenza di una lacerazione cronica del legamento talofibulare anteriore (83% dei casi distorsivi senza fratture) con patologia spesso anche del legamento talofibulare posteriore (34%) e del legamento calcaneofibulare (67%). Nei casi distorsivi la lesione della capsula articolare si verifica nel 33% dei casi, mentre una sofferenza dei tendini peroneali si riscontra nel 16% dei casi.

In conclusione, le raccomandazioni principali da tenere in considerazione sono: ottenere una risonanza magnetica per la valutazione della patologia tendinea peroneale, valutare i legamenti collaterali della caviglia per notare instabilità anche in assenza di documentazione attraverso diagnostica per immagini, considerare l’indicazione di artroscopia come procedura aggiuntiva per evitare degenerazioni e peggioramenti futuri. La Triade laterale di caviglia può aiutare i clinici nello studio delle possibili combinazioni degli eventi lesionali, i quali con un attenta indagine possono rivelare cambiamenti nascosti che possono manifestarsi in presenza di instabilità cronica di caviglia e sofferenza dei tendini peroneali.

lunedì 17 gennaio 2011

Il test di resistenza alla supinazione

La determinazione dell’asse della sottoastragalica in relazione al piede è un importante esame clinico la cui corretta tecnica permette di apprezzare i momenti di pronazione e supinazione che agiscono attorno all’articolazione. (Kirby, Kevin A.: "Methods for Determination of Positional Variations in the Subtalar Joint Axis", J. American Podiatric Medical Assoc., 77:228-234, May 1987; and, Kirby, Kevin A. Foot and Lower Extremity Biomechanics: A Ten Year Collection of Precision Intricast Newsletters. Precision Intricast, Inc., Payson, Arizona, 1997, pp. 49-52).
Una volta che si raggiunge una certa pratica con questa tecnica, sarà possibile notare che i pazienti con medializzazione dell’asse della sottoastragalica tendono a pronare a fondo corsa questa articolazione quando rimangono in posizione di carico rilassato del calcagno (RCSP – relaxed calcaneal stance position) mentre invece pazienti con deviazione in laterale dell’asse della sottoastragalica tendono a mantenere questa articolazione in leggera supinazione quando si trovano in stato di stance rilassata. Tuttavia una volta che il piede agisce per controllare il carico, è difficile determinare la localizzazione spaziale dell’asse ASA. Dal momento che il metodo per la determinazione del posizionamento dell’asse ASA non in carico è differente da quello utilizzato a catena cinetica chiusa, è necessario sviluppare tecniche basate su un approccio differente.
Uno dei metodi è appunto definibile come Test di resistenza alla supinazione, dalla traduzione dell’anglofono Supination resistance test.
Questo test è apparso in letteratura per la prima volta nel 1992 (Kirby, Kevin A., and Donald R. Green: "Evaluation and Nonoperative Management of Pes Valgus", pp. 295-327, in DeValentine, S.(ed), Foot and Ankle Disorders in Children. Churchill-Livingstone, New York, 1992, p. 314).
Per compiere il test di resistenza alla supinazione, al paziente viene chiesto di posizionarsi comodamente in bipedestazione eretta, con l’angolo dei piedi nella posizione a lui naturale e la base di appoggio spontanea. Al paziente deve essere chiesto anche di rilassare i piedi durante la durata del test, in modo tale che la muscolatura intrinseca non si contragga involontariamente. In altre parole il soggetto non deve tentare di pronare o supinare la sottoastragalica per non minare il risultato del test. Compiuto ciò, l’esaminatore posiziona il polpastrello dell’indice e del dito medio direttamente plantarmente l’aspetto mediale del navicolare e dell’arco plantare del piede. Fatto ciò il podologo deve tirare verso l’alto il navicolare parallelamente all’asse della tibia.
Quando l’esaminatore comincia a tirare superiormente l’arco, dovrebbe notare il grado di resistenza che il piede del paziente oppone a questa forza. In aggiunta, è utile notare la quantità di forza necessaria per supinare la sottoastragalica dalla posizione di riposo iniziale. Ulteriore cura dev'essere spesa per evitare che il paziente venga spinto fouri dal proprio poligono d'appoggio e che cerchi di conseguenza di attivare muscoli alternativi che non utilizza solitamente in bipedestazione rilassata. In generale se il test viene effettuato come spiegato il paziente non si sente spinto oltre la propria zona di equilibrio.
In un piede con un asse ASA in posizione normale (che passa da posteriore attraverso la porzione laterale della tuberosità calcaneare ad anteriore attraverso la prima area intermetatarsale) l'esaminatore deve esercitare solo alcuni chili di forza per causare una supinazione della sottoastragalica. Se l'asse della sottoastragalica è deviato lateralmente, la quantità di forza espressa dalle dita necessaria è inferiore al normale. Se l'asse ASA è medializzato, sarà necessaria una forza maggiore per supinare l'articolazione. In caso di asse ASA severamente medializzato, tale che esso passa direttamente attraverso oltre l'aspetto mediale del navicolare, l'esaminatore non sarà in grado di supinare l'ASA durante il test.
I principi biomeccanici dietro il test di resistenza alla supinazione sono relativamente semplici. Più l'asse ASA è lateralizzato nella bipedestazione, maggiore è la lunghezza del braccio di leva a disposizione dell'esaminatore per produrre una supinazione ASA attorno al suo asse spingendo verso l'alto la porzione mediale dello scafoide. Viceversa quando l'asse ASA è medializzato in catena cinetica chiusa il braccio di leva si fa più corto ed è quindi necessaria una forza maggiore per la supinazione. Nel caso di asse ASA severamente medializzato non esiste alcun braccio di leva per produrre supinazione, pertanto la supinazione nel test è impossibile se non con una grande forza.
Come per la maggior parte dei test, quello di resistenza alla supinazione deve essere svolto svariate volte prima che l'operatore possa sentire propria questa tecnica. Si tratta però di una pratica semplice che diventa elementare dopo una decina di prove e che proprio per la sua facilità diventa un metodo efficente per guadagnare maggior informazioni possibili sullo stato delle forze che agiuscono nello stato di carico. Questo è vero soprattutto quando consideriamo che l'area del piede di interesse per lo svolgimento del test è anche il punto di inserzione del muscolo tibiale posteriore. Di tutti i muscoli della gamba, il tibiale posteriore ha il braccio di leva più lungo per produrre supinazione attorno l'asse ASA durante le attività sotto carico.

Con la pratica sarà anche impressionante notare come il peso corporeo dell’individuo ha meno effetto sulla quantità di forza necessaria per supinare la sottoastragalica rispetto alla posizione del suo asse. Capita spesso di esaminare bambini di peso inferiore ai 25 kg con deformità del piede piatto flessibile che richiedono molta più forza applicata per supinare la sottoastragalica rispetto ad adulti di 90 kg con piedi cavi. Il test di resistenza alla supinazione permette all’esaminatore di fare esperienza diretta delle forze che agiscono sull’articolazione sottoastragalica, forze atrimenti difficili da misurare attraverso ogni altro sistema valutativo.
La facoltà podiatrica presso l’università di La Trobe (Melbourne, Australia) sta compiendo una ricerca per scoprire la possibile correlazione fra il test di resistenza alla supinazione e il rischio di lesioni . Sono stati presi in esame 28 individui che avevano problemi con un solo arto, tutti precedentemente descritti o diagnosticati come “eccessiva pronazione monolaterale”. Di questi soggetti è stato registrato un protocollo che classifica i piedi in categorie in base alle osservazioni visive (indice posturale) sia della parte lesa sia del lato illeso; quindi è stata misurata la resistenza alla supinazione sul lato infortunato e su quello illeso. È stato scoperto che prendendo in considerazione solo l’indice posturale, il piede dal lato ferito è stato valutato come pronato in 15 dei 28 soggetti. Tuttavia la resistenza alla supinazione era maggiore sul lato ferito in 25 dei 28 soggetti. Se una tale riscontro si verificasse su scala più ampia, ne risulterebbe che il test di resistenza alla supinazione è più predittivo della valutazione in base all’osservazione visiva (un esempio su tutti la ricerca sull’uniformità di curve fra i profili tibiale e calcaneare). Per poter dare una risposta sono necessari altri studi prospettici e per questo l’invito a tutti gli operatori è di fare il più ampio uso di questo veloce test.

La prova di resistenza supinazione è oggi probabilmente una delle valutazioni più importanti sul paziente per dettare la scelta dell’ortesi più corretta. E’ più oggettiva da valutare dell’indice posturale, tuttavia è necessario ulteriore lavoro per comprendere appieno se la resistenza alla supinazione può essere utilizzato come gold standard nella predizione del rischio di lesione o possa essere validamente utilizzato per determinare le risposte cinematica e dinamica ai diversi livelli di forza fornita dalle ortesi del piede.