lunedì 14 maggio 2012

La ricerca di un approccio unificato alla biomeccanica podiatrica: revisione delle teorie sul funzionamento e sulla terapia ortesica del piede. Parte 3




Meccanismo teoretico di funzionamento in caso di anormalità podaliche

a) Fallimento di stabilità e di mantenimento di una struttura congruente durante la fase di stance
se i momenti angolari che resistono alla pronazione dell’articolazione sottoastragalica e all’abbassamento dell’arco plantare mediale non sono di sufficiente grandezza, avviene una pronazione anormale e il metatarso si muove in una posizione di scarsa congruenza a causa del mal allineamento fra le facce articolare delle ossa che lo compongono. I fattori che possono aumentare o diminuire l’abilità del piede nel resistere ai momenti pronatori sono sia intrinseci (es. un asse della sottoastragalica deviato medialmente) sia estrinseci (es. debolezza del gruppo dei muscoli rotatori laterali dell’anca) o ancora transitori sul piede (ad esempio lassità legamentosa in gravidanza). In aggiunta, per mantenere stabilità a seguito del sollevamento del tallone, il meccanismo a verricello necessita di applicare una certa tensione sulla fascia plantare. Se questo non è reso possibile, il metatarso si destabilizza allo stacco del tallone e non è in grado di resistere alle forze che lo piegano. L’abbassamento dell’arco allo stacco del tallone avviene analogamente alla pronazione della sottoastragalica. Perché il meccanismo a verricello funzioni, la dorsiflessione dell’alluce deve avvenire attraverso la propulsione della colonna mediale. Se è presente una limitazione della prima articolazione metatarso-falangea, strutturale o funzionale, il meccanismo a verricello può non funzionare con una sequela di complicanze. Un comune meccanismo di compensazione è la prolusione laterale anziché mediale, un metodo meno efficiente rispetto alla spinta sull’alluce. Nonostante le cause dell’hallux limitus funzionale siano molto discusse in letteratura, è sovente tralasciata l’eziologia della patologia. Due possibili eziologie sono un effetto a verricello inverso troppo prolungato e una restrizione ossea della prima articolazione metatarso-falangea. Il primo caso si presenta quando, come risultato di una pronazione eccessiva della sottoastragalica (causata da avampiede varo, varismo tibiale o debolezza dei rotatori d’anca), è prolungato il meccanismo a verricello inverso e con questo la plantarflessione dell’alluce, sostituendo la sua fisiologica dorsiflessione. Questo impedisce un’efficiente propulsione e di conseguenza inabilita l’innalzamento dell’arco mediale.
b) Fallimento nel permettere il rotolamento del piede
I tre rotolamenti del passo, attorno al tallone, attorno la caviglia e attorno l’alluce, devono avvenire in tempistiche esatte e coincidere con il movimento che si deve verificare in concomitanza di queste fasi. Ad esempio, quando il centro di massa avanza e l’anca si estende il tallone deve risalire in maniera appropriata. Il fallimento dell’articolazione dell’alluce nel compiere tale lavoro impedisce il distacco del tallone e limita l’estensione d’anca, che come accennato nello scorso numero è una finalità principale di tutto il passo e che ha rilevanti ripercussioni su tutta la catena cinetica. Il tempismo di questi movimenti è essenziale perché il piede sia stabile sotto carico. In questi casi i meccanismi compensativi possono includere assenza di curva fisiologica a livello di lordosi, insufficienza nell’estensione dell’anca o del ginocchio.
c) fallimento nel permettere la rotazione interna della gamba sul suolo attraverso la pronazione della sottoastragalica
Quando la sottoastragalica soffre di un inadeguato range di pronazione tale da non permettere la normale intrarotazione della gamba (esempio tripla artrodesi) i normali macchinismi lombari e pelivici non agiscono. È vero anche il contrario: se c’è una diminuzione della rotazione interna dell’anca, la normale pronazione non avviene e ciò inficia sul meccanismo a verricello invertito (es. osteoartrosi d’anca). Al momento della midstance, la gamba extroruota apllicando alla sottoastragalica un momento supinatorio. Perché la gamba ruoti, il piede deve supinare, cioè il momento supinatorio sull’ASA deve essere maggiore di quello pronatorio. In situazioni anormali questo può non accadere e in tal caso accorrono diversi meccanismi compensativi: la gamba potrebbe rimanere semplicemente intrarotata, oppure se il coefficiente di frizione tra il suolo e il piede è superato, il piede può essere visto rapidamente abdurre e permettere all’anca di rotare esternamente senza risupinazione della sottoastragalica (torsione abduttoria, si veda a piede libero n. 4 dicembre 2010 pag. 28).
Prescrizione ortesica basata sulla Teoria Unificata.
La ragione fondamentale per prescrivere un’ortesi funzionale è migliorare la sintomatologia causata da una disfunzione del cammino. Ciò potrebbe essere causato da uno o più combinazioni di fattori, risultando in un fallimento del piede nel fungere da perno stabile, con conseguente movimento anormale dell’anca sul piano trasverso.
È asserito che le disfunzioni sintomatiche del cammino possano essere curate mediante le precedenti teorie podiatriche, con combinazioni di negativi di calchi del piede, posting in varo o in valgo, modifiche nell’estensione o nella larghezza delle ortesi. Ad esempio, secondo la teoria dello stress tissutale, un verricello troppo disteso può essere ridotto utilizzando un cuneo varizzante. La teoria della facilitazione del piano sagittale ridurrebbe la restrizione fornita alle ossa della prima metatarso-falangea eseguendo accorciamenti del sotto il primo raggio e utilizzando cunei cinetici per facilitare la corretta la biomeccanica dell’alluce. La teoria della morfologia del piede tenterebbe di migliorare entrambe le anormalità con un cuneo varizzante e un taglio al 25% nella larghezza del primo raggio. Le tre teorie aiuterebbero il meccanismo a verricello e agevolerebbero l’abilità del piede di funzionare come perno per la rotazione dell’anca. Tuttavia può essere dimostrato con alcuni esempi che le tre teorie, sebbene conflittuali in natura, possano essere coadiuvanti utilizzando una teoria unificata. Ciò può essere collegato al sollievo di specifici sintomi.
La fascite plantare è uno dei più comuni traumi muscolo-scheletrici che vengono presentati al clinico e sicuramente uno dei più trattati mediante plantari su misura. Assumendo che il plantare funziona riducendo la tensione della fascia plantare, correggendo le tempistiche del meccanismo ad argano sia normale sia invertito, e consentendo perciò un passo normale. La prescrizione ortesica basata sulla teoria morfologica applica stabilizzazioni ai piedi che mostrano una compensazione anormale. Gli effetti benefici possono essere la riduzione della compensazione anormale e la conseguente corretta funzionalità della sottoastragalica. In alternativa, il dispositivo può ridurre lo stress sulla fascia plantare tramite la riduzione dei momenti eccessivamente pronatori sulla sottoastragalica durante la fase di verricello invertito. O ancora, un’ortesi potrebbe facilitare la dorsiflessione dell’alluce e il normale funzionamento del meccanismo a verricello in modo tale da diminuire lo stress sulla fascia plantare. In aggiunta, la classica teoria della morfologia del piede applica spesso accorciamenti al primo raggio tali che ne rimanga solo il 25% della lunghezza. Questo riduce il momento dorsiflessorio al primo raggio permettendo all’alluce di estendersi più facilmente durante la propulsione. La teoria della facilitazione del piano sagittale impiegherebbe inoltre un cuneo cinetico per l’articolazione dell’alluce e cunei minori per il retropiede. Infine la teorie dello stress tissutale applicherebbe un posting e un heel skive mediale per diminuire le forze pronanti sulla sottoastragalica. Questo scaricherebbe la fascia ulteriormente.
Ad oggi nessuno studio indica la supremazia di una teoria sulle altre. Alcune ortesi potrebbero funzionare meglio per talune patologie o sintomi derivanti. Se ne conclude che l’utilizzo di talune tecniche per curare determinate patologie podaliche riguarda il miglioramento della funzionalità del piede; tuttavia il legame fra malattia e trattamento ortesiologico adatto è tutt’ora incongruente, venendo a mancare risultati di ricerche ancora non disponibili.

Conclusioni
Si è tentato di riassumere le tre principali linee di pensiero presenti in letteratura e proporre una teoria che le racchiudesse tutte. Questa teoria potrebbe essere pensata come una semplificazione, ma spiega i principi fondamentali dietro il successo apparentemente universale di questi tre differenti approcci terapeutici. Non si intende dismettere o dare priorità ad una teoria piuttosto che ad un'altra. Problematiche legate a diverse e conflittuali teorie esistono anche in altre specialità sanitarie, che faticano a spiegare per esempio il trattamento di molte patologie muscolo-scheletriche. Finché non saranno disponibili ulteriori studi, ciascun praticante sarà libero di utilizzare l’approccio migliore. Il podologo che sa adottare tutti gli approcci potrebbe tuttavia possedere una marcia in più rispetto ai clinici più dogmatici.

giovedì 19 gennaio 2012

La ricerca di un approccio unificato alla biomeccanica podiatrica: revisione delle teorie sul funzionamento e sulla terapia ortesica del piede. PARTE 2




Teoria Dello stress tissutale
Kevin Kirby pubblicò il primo lavoro riguardante la variazione dell'asse della sottoastragalica nel 1987. Questo modello è basato sulla posizione e sul movimento attorno all'articolazione sottoastragalica e le maniere con cui modificare questi movimenti per diminuire lo stress di strutture anatomiche. Vengono quindi identificate le strutture lesionate e la relativa patologia secondo uno schema meccanico del piede. Fuller ha recentemente applicato i concetti del meccanismo a verricello del piede e del centro di pressione ai lavori più recenti di Kirby. Questo approccio impiega l'applicazione di leggi fisiche come il momento, le leve, lo stress e le curve di deformazione. La teoria dello stress tissutale  è basata su un concetto di cinetica opposto alla cinematica del piede. Il concetto centrale è che la pronazione o la supinazione non causano danno, ma fermare questi movimenti invece sì. Se il centro di pressione è mediale all'asse della sottoastragalica durante il cammino, un movimento supinatorio verrà applicato a questa articolazione, e viceversa. Per l'equilibrio rotazionale è necessario che strutture che si oppongano a questi movimenti applichino forze della stessa grandezza. Per esempio, la fascia plantare e il tibiale posteriore si oppongono al movimento pronatorio attorno la sottoastragalica. Uno slittamento mediale o laterale del suo asse risulta in un disturbo di tale equilibrio, un movimento indesiderato interviene fintanto che nessuna struttura intervenga per  aumentare il momento angolare opposto. La deformazione che ciò impone sulle suddette strutture come il tibiale posteriore potrebbe eccedere le capacità di carico, pertanto risultare in una lesione. La diminuzione dei sintomi sembra dettare l'esito del trattamento, piuttosto che indicare il successo o meno di un posizionamento del piede nella posizione ideale. Danni al sistema muscolo-scheletrico del piede vengono trattati mediante ortesi plantari che riducano le forze anormali sui tessuti lesionati applicando il momento appropriato all'articolazione sottoastragalica. Kirby ha contestato i criteri di normalità di Root et al, dichiarando che fossero irrilevanti al conseguimento nel normale funzionamento del piede con un'ortesi: un piede che rimane molto vicino allo stato neutrale della sottoastragralica quando a riposo in bipedestazione statica, in realtà mostra una eccessiva forza supinatoria in dinamica. Un piede moderatamente pronato in stance è considerato normale. La prescrizione ortottica scelta include stabilizzazioni per l'avampiede e il retropiede, estensioni avampodaliche nel caso di avampiede varo o valgo. Calchi negativi sono spesso modificati al momento della presa, a seconda della forma del guscio, per applicare le corrette forze al piede: ad esempio il primo raggio viene dorsiflesso o plantarflesso per riallineare avampiede o retropiede, fino a 10 gradi di correzione. La quantità di momento patologico decreta quella di correzione necessaria piuttosto che una lavorazione del calco basato sulla posizione neutra della sottoastragalica. La larghezza generale del plantare non è specificato, nonostante sia comunemente più largo di quanto prescriva la teoria della morfologia del piede. In contrasto con quest'ultima, sono richieste modificazioni delle forze che agiscono sulle articolazioni, e non nelle posizioni proprie di esse. Se la forza di reazione del suolo produce momenti esagerati, esse vanno sopperite mediante l'heel skive, un controllo a cuneo posto sotto l'alloggiamento mediale o laterale del tallone. Non esiste un protocollo per la produzione delle ortesi nemmeno nel caso di questa teoria, anche se abbiamo molta più letteratura in merito.
Una teoria unificata
E' ragionevole assumere che nessun clinico continuerebbe ad utilizzare una teoria che non funziona per guarire i propri pazienti. Razionalmente quindi devono esserci aspetti benefici in tutte e tre le teorie esposte in questo e nello scorso numero della rivista. Nonostante i tre principali paradigmi biomeccanici siano in conflitto fra loro (si veda la tabella), tutti dimostrano però dei punti in comune, ovvero che il piede funziona attraverso tre principali aree di interesse:

1La capacità di essere stabile e mantenere una struttura congruente durante la fase di stance
2Permettere alla gamba di ruotare attorno al punto di contatto al suolo e di esercitare la falcata
3Permettere la rotazione prima interna e poi esterna della gamba rispetto al suolo attraverso la pronazione e la supinazione dell'articolazione sottoastragalica

Potrebbe quindi esistere un meccanismo correttivo che sottende tutte queste teorie? Viene esposta di seguito una teoria che spiega il normale e l'anormale funzionamento del piede, che potrebbe essere usato per unificare e spiegare i benefici riportati e dimostrati dalle tre differenti teorie.
Meccanismo teoretico per un piede di funzionalità normale
Al momento del primo contatto del piede con il terreno,  avviene la fase di doppio appoggio degli arti inferiori. In questo momento l'arto che ha compiuto il contatto iniziale si trova internamente rotato a terra. A permettere questa rotazione interna è la sottoastragalica, che pronando abbassa anche l'arco mediale. Mano a mano che l'arco si abbassa, esso si allunga e le strutture che si originano prossimamente e si inseriscono distalmente l'articolazione mediotarsica aumentano la loro tensione. E' rilevante l'esempio fornito dalla tabella 3. Questo aumento di tensione applica una forza compressiva longitudinale attraverso convessità e concavità delle articolazioni mediotarsiche, le quali si “impacchettano” e aumentano congruentemente la stabilità del piede. Specificatamente alla fascia plantare, viene proposto un meccanismo ad argano invertito. Non solo la tensione dell'aponeurosi plantare aumenta la stabilità delle articolazioni mediotarsiche, ma spinge le dita al suolo a causa delle inserzioni dei tendini plantari sulle falangi prossimali. La normale quota di pronazione che avviene assieme con l'intrarotazione della gamba al contatto col suolo fornisce stabilità al piede ed è quindi essenziale per una normale camminata. Attraverso la midstance la gamba comincia a ruotare esternamente rispetto al suolo. Questa rotazione necessita della supinazione della sottoastragalica, attraverso la quale l'arco comincia a risalire, pertanto l'origine e l'inserzione delle strutture responsabili del congruente supporto del piede vengono ravvicinate, per cui la stabilità può venire persa. Ciò avviene quando il tallone si alza dal suolo, un momento del passo in cui il centro di presione corporeo progredisce anteriormente alla caviglia e alle articolazioni mediotarsiche. Questa progressione crea un momento massimo che tende ad abbassare l'arco. La capacità del piede è quella di resistere a questa forza e inoltre di mantenere l'arco in costante elevazione. Il meccanismo ad argano ha effetto come descritto da Hicks nel 1954 e recentamente da Fuller e Danamberg. Dal punto di vista anatomo-funzionale si prendono in considerazione l'arco mediale e la banda mediale della fascia plantare. Quest'ultima origina dal tubercolo mediale del calcagno e si inserisce distalmente nella base della falange prossimale de nelle ossa sesamoidi. In catena cinetica chiusa, in un piede con una struttura normale, dorsiflettendo l'alluce si tende la fascia plantare che avvolge la prima testa metatarsale, analogamente ad un cavo attorno ad una puleggia. Questa efficiente meccanismo avvicina il calcagno e la prima testa metatarsale, causando l'accorciamento del piede e il conseguente innalzamento dell'arco mediale. Durante la propulsione la maggior parte del peso è sostenuto dalla colonna mediale del piede, mentre la gamba ruota esternamente e l'arco si alza e si abbassa. Per alzare il tallone è necessario che l'alluce dorsifletta. Questo annoda l'argano del meccanismo a verricello del piede mediante la tensione della fascia plantare, creando una forza compressiva attraverso tutto il piede. Viene ora utilizzata la pronazione indotta dall'intrarotazione tibiale per raggiungere una propria stabilità podalica, perché grazie ad essa aumenta la lontananza e quindi la tensione delle strutture durante la fase di conttatto e l'inizio della midstance. Come il piede fa perno sull'alluce, la gamba extraruota e la stabilità del mesopiede si mantiene attraverso il meccanismo ad argano. La fascia plantare, nonostante sia solo una dei molti componenti coinvolti nel mantenimento strutturale del piede, è teoricamente essenziale anche al mantenimento della stabilità articolare nella risupinazione durante lo stacco del tallone.